Quella terra di mezzo più o meno rigogliosa che sta tra Stefano Benni e Michele Serra, ma un passo di lato. A guardare gli altri, tutti gli altri, che si affannano per il bene ultimo della risata. Meglio se intelligente. Della satira cioè. Quel linguaggio sciocco ma arguto, con pretesa di pensiero, che oggi tutto permea e tutto ottunde. Ma ha perso. Abbiamo perso.
Perché in tanti, troppi, hanno rubato l’involucro, alla satira, e la usano per scopi non commendevoli. Duole dirlo, ma senza il Male, senza Cuore, senzaGinoemichele, non esisterebbero la Verità, Libero, la Zanzara. Quel luogo fisico affollatissimo in cui il cinismo anarchico del motteggio, condizione necessaria ma non sempre sufficiente, si stacca dal messaggio per diventare solo mezzo. E non per dire qualcosa. Per esprimere un punto di vista. Ma per sposarli tutti, situarsi nella pancia altrui, disprezzandola, e deridere chi, poveretto, è rimasto portatore sano di una sinapsi spiritosa.
Lo stesso disegno, fatto con l’inchiostro marrone, che dilaga sui social. Dove bufala e falsificazione grottesca si sovrappongono. Come diceva Schopenhauer: vale tutto.
Ginoemichele no.
Ginoemichele scriveva mica male, anzi. I suoi libri, nella mia biblioteca personale, sono confusi tra Pennac, Mendoza, Wodehouse. Li riprendi in mano e capisci, per dire, gli anni Ottanta. La decomposizione della Prima Repubblica che inquinò le acque della seconda che al mercato mio padre comprò. Ma questo è un altro pezzo.
Quivi si racconta del disegno a suo modo umile e grandioso cui sottende il libro che ne somma gli esiti. Far ridere con le invenzioni altrui. Si badi bene: senza scipparle, come accadde ed accade per chi si inventa una prossemica dello sghignazzo dopo averne derubato i proprietari, e magari finisce agli inferi perché una volta mica lo vedevi, Carlin, su Youtube. E adesso sì.
Il mondo è quello della citazione. Un collage psichedelico che assomma stile e colpi di testa, meccanica del rutto e invenzione grandiosa. Manierismo e genio ( vero, non quello della rete, dove per diventarlo basta ritwittare un meme). Regole — quella del tre: due passi seri, poi lo scarico comico — e abbattimento delle medesime.
Quando Ginoemichele creò le Formiche, cioè Facebook prima di Facebook, Blob prima di Blob, i post di Salvini quando Salvini ancora stava con Mengacci, i mulini erano bianchi e non producevano creme spalmabili. Il mondo, specie quello italico, specie quello milanese, stava per conoscere Mani Pulite. Il limite era il cielo. I criticoni e i giornaloni erano davvero criticoni e giornaloni. Questo per primo. Infatti stroncarono l’epopea compilativa e ne decretarono il trionfo. Ancorché, per citare un autore del Formichetti, il rischio è quello di mangiar merda perché milioni di mosche non possono sbagliarsi.
Ma non è questo.
E c’è un che di nobile e salvifico in un paio d’autori ( Walter Fontana, Eros Drusiani) che personalmente considero orefici del pensiero comico e cheGinoemichele cita nella prefazione della sua opera omnia. Che è di qualcun altro. Cioè dei posteri e della loro ardua scemenza. Che va da Marcello Marchesi a un nick anonimo postato chissà dove. Ma non senza un perché.
In questa osservazione ridanciana del campionario umano cui dobbiamo una battuta c’è il segreto del suo successo, quello di Ginoemichele.
C’è una mediazione tra mainstream e perla rara che divenne non a caso la ratio di Zelig. Quando il nostro, l’autore, il vinavil doppiamente umano che ha assommato quasi 6000 battute, decise di spillare a Berlusconi denaro e verginità. Si fece usare con una certa qual voluttà ( il logo di Zelig, dacché lasciò viale Monza per accasarsi a Mediaset, è un biscione rovesciato) e creò una carneficina di neuroni che spremeva fegato e sangue sul palco. Tra gli applausi del pubblico pagante.
Una bella serie americana, I’m dying up here, racconta per filo e per segno la quotidianità di chi sale su un palco sperando che la gente rida con lui e non di lui. O anche di lui, a volte. Basta che rida. Mi piacerebbe tanto fosse il tema del prossimo libro di Ginoemichele, che nei loro laboratori hanno dispensato illusioni e disillusioni come in una versione in carne e lacrime dei loro libri. Laddove se una battuta non funzionava, usciva. Così come certi comedian che abbiamo amato per 3’. Poi via, dentro al Kleenex.
Ma non è un caso che in quel Vietnam del gioco di parole, al confronto del quale Saigon era Disneyland, nelle rivalse tra comici, nella costruzione fallace e felice di un singulto di divertimento, si rintracci infine qualcosa di concreto, tangibile, utile. Più utile del "libro da ferrovia" che Ginoemichele tratteggia nel presentare al lettore l’opera omnia. Definizione in sé ingenerosa ed eufemistica, perché i tomi così spezzettati si prestano anche e soprattutto alle sedute liberatorie cui affidiamo la salute del nostro intestino. Ma insegnano a non ragionarci, ché è attaccato alla pancia e sarebbe davvero un attimo.
Un libro serissimo, il Formichetti, proprio come il Blog di Spinoza, il primo figlio virtuale di Ginoemichele, prima di Lercio. Di cui Repubblica, quasi trent’anni dopo, parla benissimo. E vediamo se almeno stavolta ci riesce di non fargli vendere nemmeno una copia*.
*Battuta.