Robinson, 7 dicembre 2019
I sette corvi della Regina
Si dice che gli inglesi amino più gli animali degli esseri umani. Recentemente ho trovato uno scoiattolino appena nato nel giardino di casa: doveva essere caduto da un albero, infatti zoppicava leggermente da una zampetta. Nel giro di un’ora sono arrivati per prelevarlo un soccorritore pubblico, la Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, e uno privato, il veterinario del quartiere, ma nel frattempo si era radunata davanti al cancello di casa una piccola folla di passanti, tutti pronti a interrompere le proprie faccende per occuparsi del piccolo roditore. Se i senzatetto che popolano la strada all’angolo ricevessero la stessa attenzione, sospetto che il loro problema sarebbe rapidamente risolto. L’esempio più noto di amore per gli animali, in Inghilterra, viene dall’alto: la regina Elisabetta sembra riservare più affetto ai suoi cagnolini corgies e ai cavalli, quelli che continua a montare a 93 anni d’età ( al passo, naturalmente, ci mancherebbe che andasse al galoppo) e quelli della sua scuderia che corrono negli ippodromi, che a figli, nipoti e pronipoti. Ma se è comprensibile che qualcuno si affezioni a cani e cavalli, per non parlare degli scoiattoli, è più difficile immaginare sentimenti analoghi verso i corvi. Forse per il nero lucente delle sue penne, colore associato con la notte e con la morte, il più grande volatile del genere dei passeriformi viene spesso considerato portatore di malasorte. «Uccello del malaugurio» lo definì lo scrittore Edgar Allan Poe. Una cattiva fama derivante anche dalla sua predisposizione a nutrirsi di carogne: «Finire in pasto ai corvi» è un’espressione proverbiale per indicare la fine dell’esistenza, particolarmente se in maniera incivile, sofferta, magari senza nemmeno sepoltura.
Eppure c’è un luogo in cui i corvi vengono alloggiati, custoditi e venerati come protettori di una civiltà millenaria: la Tower of London, il magnifico castello medievale sulle rive del Tamigi costruito da Guglielmo il Conquistatore nel 1078, utilizzato per secoli come residenza reale, ma servito anche per altri scopi, da arsenale a forziere dei gioielli della Corona, da sede di torture ed esecuzioni pubbliche fino a prigione, in cui fu rinchiusa fra gli altri Anna Bolena, seconda delle sei mogli di Enrico VIII. Oggi è una delle attrazioni più visitate della Gran Bretagna. La Torre di Londra ha svolto un ruolo di primo piano nella storia inglese. E questo conduce all’importante ruolo svolto da sette dei suoi inquilini: i corvi, per l’appunto. Narra un’antica leggenda che, se i corvi dovessero andarsene, la Torre cadrebbe in rovina e con essa anche la monarchia britannica. Una superstizione, naturalmente, ma che Sua Maestà, per non rischiare, prende piuttosto sul serio. A conferma che questi animali possono essere portatori di gravi sfortune, in un certo senso; ma anche che, in senso opposto, tenerli buoni, soddisfatti e ben pasciuti funziona come antidoto contro il malocchio.
Esiste perciò una figura, detta Ravenmaster ( alla lettera, il maestro dei corvi), incaricata di assicurarsi che il funesto evento non si verifichi mai. A ricoprire l’importante incarico è attualmente Christopher Skaife, un ex- militare di carriera che, dopo ventiquattro anni passati nell’Esercito, ha deciso di dedicare la sua vita ai corvi. Adesso Skaife, giunto vicino al termine del suo mandato, ha scritto un libro per raccontare il suo decisamente singolare mestiere e tutto quello che ha imparato facendolo. In Il signore dei corvi (pubblicato in Italia da Guanda), il Ravenmaster descrive l’intelligenza formidabile, i dispetti e il senso dell’umorismo, tipicamente inglese ma talvolta un po’ maligno, di questi uccelli, che non gli risparmiano scherzi e preoccupazioni, inseguimenti e arrampicate, più qualche buffo incidente.
«Ore 5,30, autunno», comincia il suo diario. «L’alba si affaccia su Londra. Sono già in piedi prima che suoni la sveglia. Mi vesto al buio ed esco. Non c’è tempo nemmeno per una tazza di tè. Ho sempre l’assillo che di notte qualcosa sia andato storto. E se qualcosa va storto è molto, ma molto grave». Con ironia e passione, l’autore riesce a rendere straordinariamente interessante, e perfino simpatico, un animale che pochi metterebbero in testa alle proprie predilezioni faunistiche, riabilitandone la sinistra reputazione. «Imparando a conoscere i corvi», afferma Skaife, «ho scoperto tanto di cosa significa essere umani: ho imparato ad ascoltare, a osservare e a stare zitto. I corvi sono stati i miei maestri e io il loro allievo».
Fare il Ravenmaster, insomma, lo ha reso un uomo migliore e più consapevole. Una lezione da meditare anche per noi lettori, la prossima volta che andremo a visitare la Torre di Londra e i suoi sette specialissimi pennuti.