Il Messaggero, 7 dicembre 2019
La morte di Cicerone, il 7 dicembre 43 a.C.
Il 7 Dicembre dell’anno 43 avanti Cristo moriva Marco Tullio Cicerone, filosofo, letterato, politico, ma soprattutto padre dell’avvocatura moderna. Anche i Greci avevano conosciuto, con Lisia e Demostene, dei prìncipi dell’oratoria, ma solo con Cicerone questa arte fu pienamente dispiegata nella solennità del Foro. Ancora oggi il suo suo busto austero campeggia nei palazzi di giustizia, e il suo faccione carnoso viene raffigurato nei manifesti che annunciano iniziative giuridiche. E per decenni, prima di passare ad altre forme di prelievo, gli avvocati hanno sovvenzionato la loro Cassa di previdenza pagando le cosiddette marche ciceroniane.
Era nato ad Arpino, a cento chilometri da Roma, il 3 Gennaio del 106 a.C. da un’agiata famiglia di ordine equestre. Nonostante i tre nomi non era un nobile, e in quanto homo novus, comprese subito che l’unico mezzo di elevazione sociale risiedeva nello sfruttare le sue eccezionali qualità dialettiche, che mise a frutto nella professione legale. A quarant’anni possedeva già varie ville, terreni, schiavi e sesterzi. Non essendo prevista all’epoca una retribuzione, gli avvocati ottenevano prestiti senza termine, e cospicui lasciti testamentari. Come il grande Carnelutti, anche Cicerone difendeva, generalmente, clienti di sicura solvibilità.
CURSUS HONORUMA trent’anni entrò in politica, che allora, a differenza di oggi, richiedeva un rigoroso cursus honorum, cioè una sorta di gavetta con avanzamenti progressivi: fu prima questore, poi edile curule, poi pretore e infine, a 47 anni, console. Smascherò il sovversivo Catilina, con quelle orazioni che gli valsero il titolo di padre della patria e un posto fisso nelle antologie latine dei licei. Nel frattempo la vita politica si infiammava. Cesare e Pompeo si disputavano la supremazia nel governo, mentre le vecchie istituzioni repubblicane sembravano destinate a una lenta e irreversibile decadenza. Cicerone ritenne prudente ritirarsi tra i suoi libri, e godersi gli agi materiali e spirituali di una ricca quiete filosofica. Fu questo il periodo della sua massima produzione speculativa, che oggi noi definiamo eclettica o sincretica, perché senza pretendere di elaborare dei sistemi originali, prese il meglio di quelli allora in auge: dagli stoici l’arte del rigore, dagli scettici quella del dubbio, e dai platonici quella di un rassicurante idealismo. Ritenendo la religione indispensabile al mantenimento dell’ordine sociale ne difese le tradizionali prerogative, ma ironizzò crudelmente sulle superstizioni e sulle arti divinatorie. Contro il culto dell’astrologia si domandò se tutti i soldati uccisi a Canne fossero nati sotto la stessa stella, come oggi, per imbarazzare i chiromanti, chiediamo se i morti di Hiroshima avessero tutti la linea della mano spezzata: l’ingenuità di queste credenze popolari è radicata quanto la nostra che pretende di sopprimerle.
Dopo la morte di Cesare, scoppiò a Roma l’ennesima guerra civile, e Cicerone non riuscì a rimanerne estraneo. Vedendo in Marco Antonio un pretendente satrapo orientale, perdette la sua equidistante cautela e gli scatenò addosso quelle Filippiche con le quali sperava di ingraziarsi Ottaviano. Ma quest’ultimo, tanto giovane quanto ambizioso e astuto, al momento opportuno si alleò con il rivale per dividersi la succulenta torta della ricca moribonda repubblica.
CRUDELTÀI due pacificarono Roma con lo stesso criterio con cui quest’ultima, secondo Tacito, avrebbe poi pacificato l’impero: creando un deserto tra i nemici, e procedendo senza pietà alla loro eliminazione. Trecento senatori e duemila cavalieri furono condannati a morte, e ricche ricompense furono offerte ai delatori. I proscritti si nascondevano nei fossi, nelle fognature, nei solai e nei camini, solo per esser venduti e traditi da schiavi o da parenti venali. Figli denunciarono padri per accaparrarsi l’eredità, e altrettanto fecero con i mariti varie mogli adultere o deluse. Non dobbiamo stupirci di queste vantaggiose crudeltà: durante i disordini e le rivoluzioni l’umanità ha sempre dato il peggio di sé.
Quanto a Cicerone, si era reso inviso a Marco Antonio senza farsi amico Ottaviano, nei cui confronti aveva manifestato una certa ambiguità. Lo aveva definito «adolescentem laudandum, ornandum, tollendum», sottintendendo, con quest’ultima bivalente espressione, un invito a esaltarlo ma anche a «toglierlo di mezzo». In questo modo il brillante retore, giocando sulle parole, si era giocato la testa, e quando Antonio la reclamò il futuro Augusto non si oppose. E così il 7 Dicembre del 43, i sicari lo raggiunsero nella sua villa di Formia. Pare che l’anziano avvocato avesse tentato la fuga in nave, ma che il mal di mare fosse più intollerabile di una morte rapida e comunque inevitabile. Alla vista dei carnefici, Cicerone offrì stoicamente il collo con quella tranquillità filosofica che aveva predicato nei suoi vari trattati. Naturalmente questa ricostruzione è assai dubbia, vista la mancanza e comunque l’inattendibilità dei testimoni. Come sempre, e come insegnava Voltaire, le verità storiche non sono che delle probabilità.
IL MONITOLa vendetta del vincitore non si esaurì nell’esecuzione. La testa e le mani del cadavere furono mozzate, in quanto colpevoli di aver pensato e scritto le severe requisitorie contro il nuovo tiranno. Come monito salutare per eventuali dissidenti, Antonio le fece esporre nel Foro: un rituale macabro che periodicamente si ripete anche in paesi di civiltà consolidata. Tuttavia Ottaviano, una volta liberatosi del collega e assunto il potere imperiale, riconobbe le virtù della vittima, definendo Cicerone patriottico e saggio. Anche le riabilitazioni postume sono di antica data, e niente è più volatile del precario ricordo che lasciamo dietro di noi.
COMPOSIZIONEA parte ciò, l’eredità di Cicerone è unica nella sua ricchezza e varietà. Mobilitò la lingua latina e la pose al servizio della filosofia, della giustizia e della politica. Definì le norme della composizione e del ritmo prosastico, coniugò la veemenza oratoria con la logica secca e stringente, anche se spesso piegata, come fanno tutti gli avvocati, all’interesse del proprio assistito. Il suo stile è limpido e la sua lettura è scorrevole, come lo sono le opere lungamente meditate nel contenuto e raffinate nella forma: scrivere facile è l’impresa più difficile per chi prende in mano la penna o si accosta alla tastiera del computer. Ed infine, senza pretendere di costruire sistemi cosmologici astrusi e opinabili, ci esortò a mantenere un buon senso pragmatico e a coltivare le virtù civili. Due qualità che anche oggi potrebbero salvare la nostra traballante repubblica, anche se nemmeno Cicerone riuscì a salvare la sua.