Che Barbero è un influencer involontario, uno che non ha alcun profilo su Facebook o Twitter, né un canale su YouTube. Sono i seguaci, gli editori dei sui 40 saggi, gli organizzatori dei convegni e festival ai quali partecipa, che in Rete pubblicano video e foto. Narratore nato, basta ascoltarlo per rimanere affascinati, si è trasformato così in un fenomeno digitale sbarcando perfino su Spotify.
«Me lo hanno detto che ora le mie lezioni si trovano anche lì», conferma lui. «Le assicuro: io ne so poco e non le so spiegare come mai queste apparizioni sulle varie piattaforme online abbiano avuto ultimamente sempre più successo.
Non vado mai a guardare, finirei per concentrarmi solo sui commenti critici. Meglio starne alla larga».
Su Facebook ci sono gruppi da decine di migliaia di persone, da "Le invasioni barberiche" ad "Alessandro Barbero noi ti siamo vassalli", e avviene tutto suo malgrado?
«Quel che faccio è preparare quattro o cinque lezioni pubbliche l’anno. A differenza dei politici che parlano sempre, tento di non dire cose delle quali poi mi pentirei. Quando le lezioni finiscono su YouTube grazie a qualcuno, gli spettatori passano dai mille o duemila della sala a 200 o 300mila che le vedono sul Web. Non so se esserne contento. Ma è impossibile evitarlo, quindi anche preoccuparsene troppo».
Conseguenze?
«Capita che le lezioni registrino il tutto esaurito e restino fuori delle persone protestando. Mi succede di esser fermato per strada da qualcuno che vuole una foto assieme a me. Evidentemente fra cielo e terra ci sono più cose di quel che immaginiamo. Online c’è spazio per tutto, anche per lezioni di storia di oltre un’ora».
E per commenti di chiaro segno revisionista, come quelli fatti di recente da un suo collega su Twitter.
«In Italia con la storia abbiamo un rapporto contraddittorio. Piace moltissimo ma ad un pubblico ristretto. In genere se ne sa poco, ciò nonostante alcuni pezzi del nostro passato sono ancora delle ferite aperte. Il Risorgimento con l’unità d’Italia e naturalmente il fascismo.
Ma l’imbarbarimento recente non consiste nel dire di aver scelto una parte, Borboni invece di Savoia ad esempio, quanto nel reinventarsi spudoratamente la storia senza che nessuno dica nulla. C’è perfino chi parla di milioni di morti al Sud per mano dei piemontesi. Si utilizzano fandonie come armi in una società che non sa più reagire in maniera sana».
Ricorda il caso del consigliere triestino che si è sentito insultato perché Liliana Segre ha detto che Gesù era ebreo?
«I fischi in quel caso si son levati alti nei confronti dell’incauto.
L’antisemitismo becero è sempre esistito da noi, per fortuna è minoritario e riceve condanne trasversali. Non mi risulta succeda la stessa quando si dice che il fascismo alla fine non era così male e che il problema fu l’alleanza con Hitler, né quando si sostiene che i partigiani di fondo erano dei delinquenti».
Lei stesso nelle sue lezioni ha parlato a più riprese del potere simbolico della storia e dell’uso politico che se ne è fatto in passato.
«Fino ad un certo punto. La storia è stata usata in senso politico e pubblico per costruire identità nazionali, semplificando e mitizzando. Dopo l’unità di Italia i Savoia furono dipinti come dei predestinati a salvare il popolo italiano dagli stranieri. Napoleone quando fu incoronato imperatore si rifece a Carlo Magno. Ma da noi oggi si fa confusione, si fraintende volutamente e sempre per spaccare e per dividere».
Lei è medievista e il Medioevo è fra i periodi più fraintesi.
«È vero. Ma non c’è intento politico.
E poi almeno il Medioevo immaginario, fra cavalieri e streghe, è affascinante. Ancor meglio quando diventa fantasy e smette di far finta di essere storia. Via il Trono di spade».
Restando all’anno Mille su YouTube. Le sue lezioni hanno medie di visualizzazioni alte.
Possibile che non le sia davvero mai venuto in mente di aprire un canale ufficiale?
«Ho troppe cose da fare. Lasciando da parte i piaceri della vita, dai giochi al sesso, in ambito lavorativo per me il massimo è studiare, andare in archivio e scrivere saggi possibilmente grossi e illeggibili perché pieni di note in latino e tedesco. E lo faccio troppo poco. Poi ci sono i libri più divulgativi e di tanto in tanto le lezioni pubbliche come quelle con Laterza oltre alla collaborazione con Rai Storia in Tv».
Tempo esaurito per i social?
«Ho avuto un profilo Facebook. Poi mi sono chiesto: perché devo passare ogni giorno mezz’ora a rispondere a degli sconosciuti? Sono uscito e non ne frequento altri. Vivo meglio così».