Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  dicembre 07 Sabato calendario

Greta accolta a Madrid come una rockstar

«Non abbiamo ancora ottenuto nulla». La frase che Greta Thunberg consegna alla stampa appare quasi paradossale guardando la folla che si accalca davanti alla stazione di Atocha a Madrid, che scorre come un fiume incontenibile sul Paseo del Prado, che marcia, canta, grida per chilometri. Mezzo milione di persone, secondo gli organizzatori. Studenti di tutta Europa, anziani e poi indigeni venuti dall’America Latina per «salvare l’Amazzonia» e operai della periferia della capitale spagnola che vogliono lo «stop alla plastica» e «biciclette per tutti». E tanti, tantissimi bambini con piccoli cartelli dai messaggi micidiali: “Il nostro clima ci fa ammalare e ci uccide”.
Una moltitudine galvanizzata proprio da questa ragazzina gracile con la felpa scesa su una spalla, che a Stoccolma meno di un anno e mezzo fa ha cominciato a non andare a scuola di venerdì per «scioperare per il clima» e si è trascinata dietro il mondo. «Sì, diventiamo sempre di più, e ancora di più. Le nostre voci sono ascoltate da un sempre maggior numero di persone, ma il problema è che non si sono ancora tradotte in azioni politiche», spiega Greta. Un atto di accusa ai diplomatici, tecnici e governanti che la Conferenza sul clima riunisce qui proprio in questi giorni. «Si dice che la Cop25 sia una conferenza di passaggio perché il vero appuntamento importante sarà quello dell’anno prossimo, la Cop26, quando l’Accordo di Parigi sarà entrato in vigore – dice – Ma noi non abbiamo più tempo. Non possiamo permetterci che passino altri giorni senza azioni concrete. C’è gente che sta soffrendo e morendo per l’emergenza climatica ed ecologica».
Un messaggio diretto, duro, con cui Greta ha già sferzato i Grandi e con cui è riuscita a convincere i suoi coetanei della necessità di fare la differenza. Proprio ora, non domani. Un messaggio che arriva chiaro anche ai genitori che accompagnano per mano in piazza i figli bambini sperando che abbiano successo in quello che a loro non è riuscito. L’idea che Greta trasmette è una fragilità testarda che alla fine può vincere. Un carisma che le alimenta intorno un tifo da rockstar. Inseguita dalla stampa nel treno che l’ha portata da Lisbona a Madrid, schiacciata dai microfoni al sit-in con i suoi coetanei dentro la Cop25, infine soffocata alla manifestazione da telefonini affamati di selfie insieme alla ragazzina con la treccia che vuole l’aria pulita. Greta è costretta così a lasciare la marcia («La polizia mi ha consigliato per ragioni di sicurezza di andare via perché non si riesce a procedere, sono desolata»). «Non so come le cose siano arrivate a questo punto, è assurdo, mi fa ridere – confessa in auto per le strade di Madrid a un giornalista svedese – Io sono solo una attivista, una voce. Però se la stampa scrive di me, vuol dire che scrive anche della crisi climatica, e allora immagino che sia una buona cosa».
Ma Greta – e chi la circonda – sa che questo entusiasmo non può durare. Così come non può continuare la formula dei Venerdì per il Futuro, gli scioperi degli studenti che rimbalzano da un capo all’altro della Terra. «Far saltare ai ragazzi la scuola non è una cosa che può andare avanti a lungo – riconosce l’inventrice dei Fridays for Future – Adesso sono i leader che devono fare qualcosa, agiscano!». Lo stesso grido “Azione!” che risuonerà dal palco alla chiusura della marcia, al concerto cui partecipa anche l’attore spagnolo Javier Bardem. Lo stesso slogan che si ripete sui cartelli dei dimostranti: “Se non c’è azione, c’è Rivoluzione”.
Qualcosa di più di uno slogan, spiegano gli scienziati riuniti proprio alla Cop25. «L’inazione sul clima di fronte alla crescente pressione delle piazze non è una soluzione sostenibile», spiega Johan Rockstroem, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research. «La leadership politica nel mondo è evidentemente indietro rispetto ai sentimenti dei giovani, così come rispetto alle indicazioni della scienza. Il mondo si sta avvicinando a quello che definiamo il punto di svolta sociale sul cambiamento climatico». Per la sociologia politica, ricorda Rockstroem, quando circa il 3,5% di una nazione si unisce a proteste civili e non violente, la spinta è sufficiente per far partire un cambiamento, anche sotto una dittatura.
Nei prossimi giorni dalla Cop25 dovrà uscire una qualche risposta. Un compromesso per rinviare ancora le soluzioni o delle scelte coraggiose. I giovani aspettano, ma non troppo.