Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  dicembre 07 Sabato calendario

Rapporto Censis: italiani ansiosi

Abbandonati dalla politica che non sa decidere e dalle istituzioni che non garantiscono più nessuno, consumati da una crisi economica che è diventata la cifra quotidiana dell’esistenza, stufi di aspettare un ascensore sociale che si è fermato molto tempo fa, spaventati dalla “scomparsa del futuro”, gli italiani adesso sono ansiosi. Dopo il rancore nel 2017 e la cattiveria nel 2018, adesso è l’ansia lo stato d’animo preponderante. Il Rapporto Censis ne enuncia anche i numeri: nel corso dell’anno, il 74 per cento degli italiani si è sentito molto stressato per questioni familiari o di lavoro, e secondo il 69 per cento l’Italia intera è un Paese in stato d’ansia. Non è rimasto molto cui aggrapparsi: all’arresto della “cetomedizzazione” sono seguiti la crisi del sistema di welfare, sempre meno sostenibile per via dell’assottigliarsi del numero delle nascite e della fuga dei giovani (negli ultimi dieci anni, più di 400 mila cittadini tra i 18 e i 39 anni hanno lasciato l’Italia) e la caduta del lavoro. La crescita degli occupati è un bluff presto smentito da un’analisi appena più approfondita, che rivela come si tratti soprattutto di lavoro precario o part-time, molto spesso involontario. Sono venuti meno anche i puntelli tradizionali: non vale più la pena di investire in Bot, non rendono. Non vale la pena di comprare la casa: l’amatissimo mattone, un tempo fonte di reddito e destinato ad apprezzarsi all’infinito, secondo un giudizio consolidato e a lungo confermato dai fatti, adesso «è considerato un costo più che un investimento». Mentre la liquidità, rifugio ultimo nei momenti di estrema incertezza, «il cash accumulato in chiave difensiva», e quello che il Censis definisce senza dare giudizi morali come «il nero di sopravvivenza», rischiano che da un momento all’altro si abbatta su di loro una «minacciosa scure fiscale». Non c’è più posto per «stratagemmi individuali per la difesa del futuro». Ecco l’ansia, che in quasi metà degli italiani genera la tentazione «dell’uomo forte al comando che possa non preoccuparsi delle elezioni e del Parlamento, pur di risolvere i problemi».
Eppure in quest’Italia così ripiegata su se stessa, che si sveglia e si riaddormenta con il cellulare (per il 50 per cento degli italiani «il controllo del cellulare costituisce il primo gesto del mattino o l’ultima attività della sera»), si delinea faticosamente qualche via d’uscita. Una quota di italiani, quasi equivalente a quella che si affiderebbe a un “uomo forte”, crede invece che abbia ancora chance di raccogliere il consenso «il politico che pensa al futuro e alle giovani generazioni, piuttosto che esclusivamente al consenso elettorale». La maggioranza degli italiani aderisce con convinzione al progetto di Unione europea, la metà non rivuole le dogane. La paura del futuro non impedisce agli italiani di lavorare nel volontariato, coltivare interessi culturali, dar vita a quelle «aggregazioni per stili di vita che fanno identità». E poi ci sono quelli che il Censis chiama «muretti a secco», forse i primi segni di un ritorno agli interessi collettivi, perché gli interessi individuali aiutano a sopravvivere, ma non fanno crescere la società nel suo insieme. Accanto al nuovo europeismo, e al consolidamento economico di alcuni territori, dal nuovo triangolo industriale tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna alla fascia dorsale lungo l’Adriatico, c’è l’attenzione ai fenomeni del cambiamento climatico, unita alla ricerca di forme di economia sostenibile, a cominciare dall’economia circolare. Un risveglio che interessa soprattutto i giovani: il 73,9 per cento dei dirigenti scolastici è convinto infatti che gli studenti italiani siano diventati più ambientalisti grazie all’"effetto Greta”, che ha favorito anche l’interesse per un’alimentazione più sana e per i progetti di sviluppo sostenibile, da quelli finalizzati all’abolizione dell’uso della plastica fino alla coltivazione degli orti scolastici.