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 2019  dicembre 07 Sabato calendario

I numeri della Nutella

Prima le italiane. Nel senso di nocciole. Peccato, dati alla mano, non ce ne siano abbastanza. La fatwa di Matteo Salvini contro la Nutella – rea di usare anche frutta secca made in Turchia per confezionare la crema spalmabile più amata del pianeta – scivola sulla più esatta delle scienze: la matematica. L’Italia ha prodotto nel 2018 circa 125 mila tonnellate di nocciole, il 14% del raccolto mondiale. Ferrero ne usa 220 mila tonnellate all’anno per confezionare qualcosa come 450 milioni di barattoli di Nutella da 750 grammi. Risultato: per soddisfare la domanda deve approvvigionarsi dall’estero. In Turchia, leader assoluto del settore con quasi il 70% del mercato, ma anche in Azerbaijan e in Georgia.
L’affondo del Capitano, non a caso, fatica a scaldare persino l’anima più verde della Lega. La Nutella è patrimonio collettivo del subconscio (e del girovita) nazionale. La Ferrero non solo è una delle ultime multinazionali tricolori sopravvissute allo shopping straniero ma ha pure varato nel 2018 un piano Marshall per aumentare la produzione di nocciole nazionali del 30%, garantendo agli agricoltori il ritiro del 75% del raccolto a prezzi superiori del mercato per 20 anni. Così anche Gianmarco Centinaio, ex-ministro dell’agricoltura del Carroccio, preferisce prendere garbatamente le distanze da Salvini: «L’uscita di Matteo? Mi faccia scherzare, l’ha fatto perché deve mettersi a dieta», butta lì. «L’azienda di Alba usa tutte le nocciole nazionali possibili, io l’ho sempre sostenuta – aggiunge -. Il vero problema è la Ue, che su pressione tedesca vuole togliere i dazi sulla produzione della Turchia». «Un paese dove usano manodopera minorile e che ci manda nocciole con alti residui di aflatossine dannose per la salute – gli fa eco il presidente della Coldiretti Ettore Prandini –. Una competizione sleale che le consente di offrire prezzi inferiori del 30% ai nostri».
Le nocciole tricolori, a dire il vero, hanno problemi più urgenti della concorrenza di Ankara. C’è l’incubo della cimice asiatica, ci sono i ghiri che hanno quasi azzerato il raccolto nei Nebrodi, in Sicilia, il caldo di quest’anno ha pericolosamente ritardato l’entrata in riposo vegetativo delle piante. «E avere un’azienda come Ferrero che ti garantisce l’acquisto di quello che raccogli per molto tempo è una sicurezza», dice Fabio Rossi di Pro Agri, consorzio dei produttori di Città di Castello che ha appena siglato un’intesa con Alba per aumentare la produzione del frutto. «È una soluzione ideale per la collina italiana – spiega –. Io metterò le piante su un terreno in zona Gubbio che era coltivato a foraggio e mi rendeva 300 euro a ettaro. Con le nocciole passo a 5mila!». La campagna autarchica per la nocciola tricolore ha però fatto storcere il naso a molti ambientalisti. Il loro timore è che la monocoltura del frutto cambi il profilo paesaggistico di aree come Lazio, Umbria e Campania, le regioni dove se ne producono di più. «Stupidaggini – la fa breve Rossi –. I prati incolti o coperti da ginestre piacciono anche a me. Ma i 2 mila ettari di nuovi noccioli previsti in Umbria sono solo lo 0,5% della superficie coltivata totale in regione, nulla».
L’obiettivo di Ferrero è portare da 70 a 90 mila gli ettari coltivati in Italia. «Siamo leader in Europa e secondi al mondo – calcola Prandini –. La domanda c’è e possiamo crescere». L’importante, dice, è «che l’industria non strozzi gli agricoltori proponendo contratti con il prezzo a saldo di Ankara». Quest’anno non sembra vada così: la pregiata “trilobata” di Cuneo si paga 4,45 euro al chilo; la lunga di San Giovanni (da Avellino) trova compratori a 2,7 euro. Ottimi prezzi, dicono tutti, ai quali – con buona pace di Salvini e del “nemico” turco – non si fatica a trovare compratori.