il Giornale, 6 dicembre 2019
Ascoltare il cibo
Tra le poche convinzioni di noi italiani ce n’è una incrollabile: sappiamo cosa significa mangiare bene. Mica come quegli stranieri che trangugiano qualsiasi schifezza senza batter ciglio. Quando andiamo a cena in un ristorante, usciamo con le idee chiarissime su cosa ci è piaciuto e non lesiniamo commenti tranchant, alla bisogna. Convinti della incrollabile «soggettività oggettiva» del nostro infallibile gusto. In realtà i fattori che influenzano il nostro giudizio sono innumerevoli e legati ai cinque sensi. Alcuni più evidenti: sappiamo quanto un bel piatto bello possa farci accettare un gusto un po’ convenzionale e quanto al profumo, beh, ci mancherebbe altro.
Ma quanti sanno che il nostro gusto è legato al più insospettabile degli altri sensi, ovvero l’udito?
Un legame che è ormai stato appurato da vari studi scientifici. Le prime a essersene accorti pare siano state le compagnie aeree. Non ce ne rendiamo conto specie nei lunghi viaggi ma il «silenzio» in cabina è fatto da un rumore di sottofondo quello dei motori intorno agli 85 decibel. Che secondo uno studio della Cornell University compromette la funzionalità delle papille gustative, favorendo alcuni gusti rispetto ad altri. Un esempio? L’umami, quel quinto gusto proprio di salsa di soia e formaggi stagionati ma anche del pomodoro salato e condito del Bloody Mary. Che infatti è molto richiesto durante i viaggi aerei. E ora sappiamo perché: in aereo lo percepiamo più buono che nel bar sotto casa.
Il rumore influenza la percezione del gusto perché svia l’attenzione da ciò che stiamo mangiando e un rumore troppo forte e sgradevole può creare ansia o avere un effetto transfer sul cibo. Ma secondo Charles Spence, professore di psicologia sperimentale all’Università di Oxford che sui rapporto tra gusto e altri sensi ha scritto un libro, Gastrophysics: The New Science of Eating, ci sarebbe anche una motivazione acustica: quando mangiamo sentiamo la croccantezza di un cibo anche con le orecchie e i rumori esterni oltre che interni influenzano la percezione delle consistenze. E il rumore al ristorante è in aumento: gli chef hipster di New York spesso cucinano davanti ai clienti sparando alti i loro brani favoriti. E non sempre è una buona idea. Anche perché quel design scandinavo minimalista tanto in voga aumenta il rumore di fondo, in mancanza di tovaglie, cuscini e tende che tendono ad assorbirlo.
Vari esperimenti hanno confermato che la dolcezza e il salato sono percepiti meno in condizioni di rumore alto rispetto ad ambienti silenziosi.
Quanto alla musica, certo non può far percepire un gusto inesistente, ma secondo Spence può aumentare la sensazione di dolce o amaro. E dunque suoni tintinnanti e alti come quello di un piano o di una campanella accentuano la dolcezza mentre l’amaro passa in primo piano con suoni bassi, tipici degli ottoni. E il salato? Pare non abbia una musica che lo favorisca.
Qualcuno potrebbe pensare che per tagliare la testa al toro è meglio il silenzio? No, perché rischia di venire percepito come «mancanza d’atmosfera».
Il tema è d’attualità tanto che da due anni la Guida del Touring Club Italiano Alberghi e Ristoranti d’Italia assegna al locale con la «Miglior acustica con stile» un premio in collaborazione con Isolmant. Quest’anno per il Nord Italia è stato assegnato alla pizzeria Cascina dei Sapori di Rezzato (Brescia), mentre per il Centro-Sud al Mercato Pratola Centrale di Pratola Peligna (L’Aquila). Qui il cibo buono si sente e si ascolta.