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 2019  dicembre 06 Venerdì calendario

Missili e jet invisibili della Cina

«Abbiamo visto che la Cina investe pesantemente in nuove capacità. Poche settimane fa ha mostrato un nuovo missile balistico intercontinentale, capace di raggiungere l’Europa e l’America settentrionale, e i missili ipersonici, i gliders». Con queste parole il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha spiegato perché «abbiamo iniziato a discutere come includere Pechino negli accordi per il controllo degli armamenti». Ma a cosa si riferiva in concreto quando ha lanciato questo allarme al vertice di Watford?
Il primo punto da cui partire sono gli investimenti. A marzo, la Repubblica popolare ha aumentato del 7,5% la spesa militare, portandola a 1,19 trilioni di yuan, ossia oltre 177 miliardi di dollari. È ancora lontana dai 718 miliardi nel bilancio 2020 del Pentagono, ma è il secondo Paese nella graduatoria mondiale, e gli analisti sospettano che queste sono solo le cifre ufficiali. 
Cosa fa Pechino con questi soldi è stato dimostrato, almeno in parte, durante la parata del primo ottobre in piazza Tiananmen, in occasione del 70° anniversario della fondazione della Repubblica popolare. Hanno sfilato i Dongfeng-41, missili nucleari intercontinentali che possono trasportare fino a 10 testate indipendenti. Il loro raggio è stimato fra 12.000 e 15.000 chilometri, possono essere lanciati dalle piattaforme mobili, e quindi sono in grado di raggiungere Stati Uniti e Europa. Nella stessa parata le forze armate cinesi hanno mostrato con orgoglio 16 prototipi di DF-17, missili ipersonici che viaggiano a oltre cinque volte la velocità del suono, e sono capaci di cambiare rotta quando rientrano nell’atmosfera, evitando i sistemi di difesa Usa. Al momento il raggio è limitato tra 1.100 e 1.550 miglia e la loro efficacia è ridotta, ma alcuni analisti li considerano un potenziale «game changer» nei rapporti di forza, anche perché gli Usa non li hanno, e infatti hanno appena stanziato 2,6 miliardi di dollari per svilupparli. Si sono visti anche i nuovi aerei invisibili J-20, quelli per il rifornimento in volo H-6U, e droni Sharp Sword. 
Secondo le stime Pechino possiede fra 900 e 1.850 missili balistici, in maggioranza convenzionali, con una gittata inferiore 1.850 miglia, ma sta rapidamente sviluppando le sue capacità. L’International Peace Research Institute ha calcolato che possiede 290 testate nucleari, contro le 6.185 degli Usa, ma anche qui può fare rapidi progressi.
Questi dati aiutano a capire perché Stoltenberg ha lanciato l’allarme, e ha sollecitato l’inclusione della Cina nei meccanismi per il controllo degli armamenti. L’alternativa sarebbe una costosa corsa al riarmo, dagli esiti incerti. Gli ostacoli da superare, però, sono almeno due. Il primo è la resistenza della Cina che ad esempio ha rifiutato l’invito di Merkel a resuscitare l’accordo INF perché i missili a raggio intermedio le servono a tenere sotto scacco Taiwan. Il secondo è la disponibilità di Washington, visto che Trump ha dimostrato l’inclinazione a cancellare i trattati internazionali. Il prossimo a scadere sarà il New START, nel febbraio 2021. Potrebbe diventare il banco di prova dell’inclusione di Pechino auspicata da Stoltenberg.