Il Sole 24 Ore, 6 dicembre 2019
Il budget per i regali di Natale
Un pizzico di ottimismo in più rispetto al 2018 per le famiglie che si preparano a festeggiare il Natale. Cresce infatti di qualche decimo di punto, al 86,9% dal 86,3 dello scorso anno, la quota dei nuclei familiari che faranno dei regali. A disposizione, in media, c’è un budget pro capite di quasi 170 euro, importo lontano anni luce rispetto ai 244 euro per persona spesi in regali nell’ormai lontano dicembre 2009 quanto ben il 91% delle famiglie si scambiavano doni. Scivoloni o meglio sforbiciate di quasi un terzo nell’arco di un decennio. La spesa aggregata destinata ai regali passa così dai 13,1 miliardi del 2009 ai circa 8,9 miliardi di quest’anno. Una differenza di ben 4,2 miliardi ovvero un delta di poco superiore al 32,2 per cento. Da non dimenticare che dicembre è un mese che “pesa” in termini di consumi e vale circa 110-120 miliardi compresi affitti, bollette e servizi. Certo le tredicesime superano per la prima volta i 29 miliardi (+14,7%) e al netto delle imposte sul reddito superano invece i 43 miliardi. Risorse che rappresentano l’ancora di salvazza per gli acquisti di Natale che tendenzialmente saranno distribuiti tra i parenti più prossimi sotto forma di regali utili per la persona o un viaggio. A dirlo è l’analisi economica «Le spese di dicembre e il Natale: un po’ di vita dentro i consumi scaccia la recessione» elaborata dall’ufficio studi di Confcommercio presentata ieri a Roma.
«Le famiglie italiane scontano ancora l’effetto della crisi con perdita di reddito e una marcata sfiducia. Nonostante questo mostrano un’inaspettata vitalità nei consumi a dicembre, grazie al mancato aumento dell’Iva e a un leggero aumento delle tredicesime: c’è il classico pareggio nella spesa per regali di Natale rispetto all’anno scorso – aggiunge Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, che ricorda -. C’è la necessità di sostenere la domanda interna che da sola è pari all’80% del Pil e per farlo l’unica via è ridurre le tasse».
Invece a calare è la spesa per i regali. «La riduzione di oltre il 30% dell’ammontare pro capite per i regali è un modo piuttosto efficace per comprendere la portata della crisi non solo in termini economici, con la riduzione dei consumi per abitante limitata al 4,6% reale – premette Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio -. Con la crisi si taglia se si può ma siamo stimolati a tagliare se non ci va di sottostare a questo rito. Così culturalmente abbiamo più facilità a tagliare oggi rispetto a prima della crisi, cioè del 2007. Ora a dicembre si fanno più viaggi, più acquisti per se stessi e meno regali per gli altri».
Rispetto agli anni pre crisi emerge un aumento di 3.800 euro in più in contanti «mentre la crisi dell’immobiliare pesa sulla ricchezza delle famiglie – sottolinea Bella – così l’unico asset in crescita è la liquidità, chiaro segno di sfiducia». I commercianti invece hanno le mani legate e non sono assolutamente in grado di competere con i marketplace e le piattaforme online. Ai tradizionali negozi fisici andrà metà della tredicesima con un -7,2% sul 2008.
Nell’ultima decade inoltre sono cambiate molte cose e negli ultimi anni gli italiani hanno scoperto il rito novembrino del Black friday che in realtà ora dura oltre un mese. Quest’anno la spesa di dicembre per i regali è intorno ai 10,3 miliardi di cui una piccola parte, secondo i calcoli di Confcommercio, è stata anticipata durante il Black friday. Ma i 4 miliardi di differenza rappresentano dei tagli lineari, una «spending review che gli italiani hanno effettuato negli ultimi dieci anni e da cui difficilmente si tornerà indietro nel prossimo futuro» sottolinea Bella.
Un taglio che pesa sul retail che affronta nuovi eventi come il Black friday, il Cyber monday e analoghe iniziative. «Non sono da demonizzare ma mettono a repentaglio i margini della piccola distribuzione e penso il particolare all’abbigliamento – aggiunge il direttore -. Dopo Black friday, Cyber monday, promozioni e saldi, bisogna provare a riaprire i negozi e senza adeguata redditività non si riapre, cioè si chiude definitivamente». Così diventa sempre più pressante la necessità di vedere delle significative prospettive di crescita stabile e costante.