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 2019  dicembre 05 Giovedì calendario

I paparazzi di cronaca nera che hanno fatto grande la Notte, quotidiano popolare ma non populista

Raccontata per immagini, la storia della Notte, un quotidiano senza fronzoli ideologici, è la storia d’un giornalismo popolare ma non populista, costruito intorno all’idea, tutt’altro che infondata, di un’Italia cattiva, irredimibile. Giornalisti, artisti e fotografi, Salvatore Garzillo, Alan Maglio e Luca Matarazzo esplorano gli archivi del giornale milanese, in edicola dal 1952 al 1995, in un magnifico libro illustrato, senza tante didascalie, libro vasto e balzachiano, una vera e propria Commedia umana. Sono fotografie crude, di cadaveri abbandonati nelle discariche, di armi da taglio, di bambini dall’aria smarrita, di criminali sfottenti che ridono nervosamente oppure fanno le corna al fotografo, d’assassini impassibili con la camicia insanguinata, di donne ignare e rassegnate.È l’Italia che il regime fascista prima e quello clericale poi avevano messo al bando, ma non rifiutandole d’esistere (ché neanche i preti e i gerarchi sono così insensati, sebbene ci vadano vicini). Negandole, piuttosto, il diritto alla rappresentazione, come gl’iconoclasti al delirio delle immagini, sgradite a Dio (e ai partiti d’ordine, che dell’Altissimo sono contemporaneamente la caricatura e la sola manifestazione possibile, qualunque cosa si raccontino i teologi). No alla raffigurazione del delitto, no alla vista del peccato. Omicidi, rapine, suicidi, stupri, mafia, rififì. Non se ne doveva parlare né farsene immagine. Mostrare il peggio (nel timore che non ci sia niente di meglio) era tabù.
Senza La Notte, senza i suoi maestri di realismo fotografico inquietante, paparazzi senza una «dolce vita» di cui rendere conto a un pubblico di sognatori a occhi aperti (l’antenato del futuro pubblico berlusconiano) ma devoti piuttosto alla vita amara delle strade insanguinate, delle questure, delle osterie del Giambellino covi di malavitosi, degli obitori, l’Italia sarebbe rimasta quella tutta «anema e core» (o peggio, «papaveri e papere») delle canzonette, del moralismo cattomarxista e dei film pauperisti e smancerosi degli anni 50, dei poveri ma belli, di Tu vuò fà l’americano, dei vecchi scarponi, dei barboni candeggiati di Miracolo a Milano, della Bersagliera di Pane, amore e fantasia.
Persino Pasolini, che di quest’Italia spietata era stato il cronista ai tempi dei Ragazzi di vita, finì per dimenticarla, passando a fare il moralista, il mestiere par excellence del letterato italiano. A raccontare l’horror italiano rimase soltanto La Notte (e su un piano molto diverso, e soltanto all’apparenza più basso, Cronaca vera, di cui cito sempre un titolo, il più bello e strano mai concepito, puro Dalí: «Nano perverso travestito da neonato seduce bella vedova»).
Testata senza santi e santoni da venerare, persino senza padrini, ed è cosa quasi fantascientifica nel giornalismo italiano, La Notte preferiva di gran lunga i brutti ceffi (musi lombrosiani, banditi dall’occhio torvo) agli adoni di Hollywood sul Tevere e della nascente créme televisiva e calcistica. Inevitabile, naturalmente, occuparsi anche di loro, dei canterini e dei Pippi Baudi, della nascente fauna da spolvero mediatico. Ma in primis La Notte era il quotidiano (tre edizioni al giorno, fotoracconti in ogni pagina) della brutta gente, dei malnà, della gente cattiva. Bastano e avanzano le foto in bianco e nero per convincersi che quello che scorreva nelle pagine della Notte non è sangue blu. Niente mignolini alzati, nessun baciamano. Ma vino rosso e denti guasti, rivoltelle e orribili vestiti, mazze chiodate e grappini, teste ossigenate o impomate (dipende dal gender, che all’epoca ancora non indulge al dubbio metafisico).
«Malamente» si nasce, d’accordo. Ma anche si diventa, capitando (e sa iddio se capita) d’imboccare il sentiero sbagliato a questa o quella biforcazione del destino. Pertanto, nell’archivio tenebroso della Notte, non ci sono soltanto criminali nati (come i «born to kill» di Stanley Kubrick).
Ci sono anche i criminali per sfiga, quelli che incappano nella tentazione alla quale non si può resistere, nell’amour fou, nell’adulterio e nella gelosia, nelle dipendenze da droga e alcool, nella dark lady o nel boogeyman, l’uomo nero. Mentre i criminali di professione, in fotografia, sembrano sempre perfettamente a loro agio, storcono la faccia e fanno gestacci, sghignazzano, oppure appaiono del tutto indifferenti, i criminali per uno zig o uno zag sbagliato hanno lo sguardo attonito, perso nel vuoto. È lo sguardo dei passanti colpiti da una pallottola vagante, e somigliano in tutto e per tutto alle vittime d’un crimine, e non importa che siano stati loro a commetterlo.
Alla fine, però, la differenza tra gli uni e gli altri è puramente sociologica. Sono tutti Bianconigli, Regine Rosse, Cappellai Matti, Trichechi e Carpentieri, Fanti di Cuori, Grifoni, Tartarughe e Brucaliffi in questa Wonderland del lato oscuro. Abitano un’Italia parallela, da brivido metafisico, perfettamente nota e insieme estranea, arcana, forestiera.