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 2019  dicembre 05 Giovedì calendario

Biografia di Peter Handke


Peter Handke, nato a Griffen, in Austria, il 6 dicembre 1942 (77 anni). Scrittore. Drammaturgo. Poeta. Premio Nobel per la letteratura 2019 • «Polemico, sperimentale, eclettico. Non c’è una forma di scrittura che in oltre mezzo secolo di lavoro letterario Peter Handke non abbia toccato» (Paolo Di Paolo, la Repubblica, 10/10/2019) • Produzione letteraria sterminata. Stando a Wikipedia: 21 romanzi, 22 opere teatrali, una raccolta di racconti, cinque raccolte di poesie, sette antologie, dodici saggi, un dramma radiofonico, sei diari di viaggi, un poema, due libri di conversazioni, 1 taccuino, una traduzione in tedesco dell’Edipo a Colono di Sofocle e del Racconto d’Inverno di Shakespeare. Tra i suoi lavori più famosi: in teatro, Insulti al pubblico (1966) e Kaspar (1968); e tra i romanzi, Breve lettera di un lungo addio (1972), Infelicità senza desideri (1972) e La donna mancina (1976) • Amico del regista Wim Wenders, ha scritto la sceneggiatura del film Il cielo sopra Berlino (1987): «Quando il bambino era bambino,/era l’epoca di queste domande./Perché io sono io, e perché non sei tu?/Perché sono qui, e perché non son lì?/ Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?/La vita sotto il sole è forse solo un sogno?/Non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo/quello che vedo, sento e odoro?/C’è veramente il male e gente veramente cattiva?» (il Lied vom Kindsein, ossia il Canto dell’Infanzia, dal film) • «Scrittore legnoso dall’infanzia difficile. Lacerato tra un padre naturale e uno nominale, madre suicida, Handke […] attirò i riflettori durante la guerra dei Balcani e il bombardamento di Belgrado. Controcorrente sull’opinione mondiale, l’austriaco si pronunciò per la Serbia. Prese cioè le parti dei cristiani ortodossi che difendevano il loro Kosovo dagli albanesi musulmani che, da minoranza intrusa, erano diventati maggioranza a furia di figliare. Difese le ragioni patriottiche e il despota, Slobodan Milosevic, ridimensionando le accuse di sterminio che gli erano rivolte. Imputò all’Occidente di ingerirsi nei fatti interni di uno Stato sovrano e di calpestare i diritti delle nazioni. Così, passò per sovranista antimoderno e fu sepolto dal ludibrio dei benpensanti. Ora però gli incipriati di Stoccolma lo hanno riesumato e, a sorpresa, aureolato col Nobel» (Giancarlo Perna, La Verità, 22/10/2019) • «Ha negato la loro responsabilità nel genocidio di Srebenica (8mila musulmani maschi massacrati nel 1995, tra l’indifferenza delle forze Onu [...]). Ha difeso strenuamente […] Milosevic, condannato dalla Corte dei Diritti Umani dell’Aja per crimini contro l’umanità. Nel 2006 gli ha fatto un elogio funebre, dimostrando di non aver avuto alcun ravvedimento. Coerenza, sì, ma spregevole» (Leonardo Coen, il Fatto Quotidiano, 13/10/2019) • «La scrittura è per Handke un controveleno, un antidoto al vuoto di esperienza del nostro mondo civilizzato e occidentalizzato» (Vanna Vannuccini, la Repubblica, 8/1/2005) • «Un poeta, tra i più grandi del nostro tempo, il quale però è talmente timido, menschenscheu, schivo, ritroso, e consapevole della tremenda grandezza della poesia, che rifiuta di definirsi tale» (Alessandra Iadicicco, sua traduttrice in italiano, La Lettura, 9/7/2017) • «Non sono un poeta. Sono uno scrittore epico. Sono un epico lirico incline a svolte drammatiche» • «La gente normale gli pare pazza, passa il tempo a parlare per paura di pensare: così, incontrarne un po’ gli serve a sentirsi sano di mente. Ma vorrebbe anche darsi dei colpi in testa, per uscire da quella prigione che è la sua mente. Ripete spesso di essere un caso psicologico estremo: “Sono quasi autistico”, dice» (Luigi Zoja, il venerdì, 7/6/2013).
Titoli di testa Guardingo, sincero, diafano, ossuto. Indossa una camicia bianca nonostante il freddo e ci viene incontro.
Vita «Handke è nato nel 1942 da un padre che incontrerà solo da adulto. La madre apparteneva alla minoranza slovena della Carinzia, regione dell’Austria, che a sua volta in quegli anni era scomparsa, incorporata nella Germania nazista. Non erano i tempi giusti per essere una madre nubile e parlare una lingua slava. La madre non gli parlava sloveno, ma tedesco e aveva un compagno tedesco, di cognome Handke: che sposò, pur aspettando il bambino di un altro. Proprio quando la guerra stava finendo, questo patrigno decise di trasferire tutti tre a Berlino in cerca di una vita migliore: la incontrarono prima sotto forma di bombardamenti americani, poi di Armata Rossa che spianava la capitale come un rullo. Tornato nelle valli materne per la scuola elementare, lo scrittore fece fatica a imparare sia il dialetto tedesco della Carinzia sia lo sloveno, nel frattempo insegnato a scuola: e quindi a legare con gli altri bambini» (Zoja) • Studia Legge all’università di Graz, ma la laurea non la prende. Vuole dedicarsi alla letteratura. Esordisce nel 1966, con l’opera Insulti e il romanzo I calabroni. Nel libro, «il ventiquattrenne Handke agita le sue visioni nel paesaggio della Carinzia […] I sensi sono all’erta: il fiume, gli insetti, l’estate. La stranezza e l’intensità dell’essere vivi. Procede per “visioni”, e questo è tipico suo: essere assorti nell’istante, sprofondare in esso dilatandone la durata. […] Di sensazioni si nutrono i suoi numerosi libri meditativi: una sequenza fitta di variazioni sul tema dell’avventurarsi in ogni singola giornata, dell’avvertire “il peso del mondo”» (Di Paolo) • «Dopo i primi successi da giovanissimo, Handke seguì furiosamente l’istinto di narrare. I suoi libri non sono programmati, gli nascono in mano scrivendo» (Zoja) • «La cosa più bella, stare così, fermi, lasciare che la storia venga da sola. Come diceva Teresa d’Avila: lasciare, sempre lasciare. Solo chi si lascia andare, senza voler sapere, senza opinioni, senza riflessione, ha una chance che la vita gli dia il dono della percezione [...]» • «Bisogna vederli per crederci, i manoscritti di Peter Handke. Pagine e pagine riempite rigorosamente a matita, una riga dopo l’altra, righe perfette, ben allineate, senza ripensamenti, solo raramente una aggiunta, minutamente annotata sul margine di sinistra della pagina. Sembrano esercizi di calligrafia, di quell’arte della bella scrittura che nel mondo islamico è considerata l’espressione artistica più pura, la rappresentazione della parola di Dio» (Vannuccini) • «Libro dopo libro - nella nobile tradizione europea dello scrittore-intellettuale - si compone la storia del pensare, dell’avere pensato: di “tensione continua” parla lo stesso Handke, di inesausto movimento che “si ramifica lentamente”. La tentazione aforistica è sfiorata costantemente; quella narcisistica è consapevole, perché, sostiene, “la lunga e attenta contemplazione della propria immagine allo specchio” consente di osservare e comprendere gli altri. In quel piccolo capolavoro che è Infelicità senza desideri (1972) - il memoir sul suicidio della madre - dà un’anticipata lezione di letteratura agli araldi dell’autofiction di là da venire. […] Handke recupera il trafiletto di cronaca che archivia frettolosamente la vicenda di una casalinga cinquantenne che si toglie la vita con una dose eccessiva di sonnifero. Lo scrittore, forzando la propria stessa apatia, si trasforma in “una macchina che ricorda e che formula”» (Di Paolo) • «Ricorda bene solo quel che ha pubblicato fino ai trent’anni: negli ultimi quaranta è stato in gran parte un sonnambulo. Quando gli citiamo dei passaggi dai suoi libri fatica effettivamente a ricostruire da dove vengano. C’è un’isola, però, nella sua vita, staccata dal continente dedicato alla scrittura. Handke ha raccontato questa fase anomala nel libro Storia con bambina: gli anni seguenti alla nascita della prima figlia, di cui si è occupato lui, mentre la madre si concentrava sul proprio lavoro. […] “Sono stati gli anni essenziali della vita. Non potevo più concentrarmi sul mio mondo interiore: anche se continuavo a volerlo, e a tratti ci riuscivo. Mi sono accorto che avrei sempre voluto salvare qualcuno. Mia figlia non aveva bisogno di essere salvata: ma almeno potevo proteggerla. Nutrirla e custodirla ogni giorno, per anni, è stato forse più importante per me che per lei”» (Zoja) • Nel 1966 è a Princeton, negli Stati Uniti. Trasloca di continuo, vive tra l’Europa e l’America: «Non mi sento a casa da nessuna parte, sono uno scrittore senza retroterra» • «Dopo che lasciai Salisburgo, quando la mia prima figlia andò a Vienna a fare l’università, sono sempre andato, da una parte o dall’altra. Per tre anni non ho avuto una casa. Ma chi va sempre, non arriva da nessuna parte» (alla Vannuccini) • «Il paesaggio jugoslavo - scrive ne La Ripetizione - gli apparve nella sua “letteralità” come scrittura, come terra descrivibile, alla quale si poteva dire “La mia patria!”, e questa apparizione era allo stesso tempo l’unica manifestazione di Dio che avesse avuto in tanti anni» (Vannuccini) • «Prima nel mondo avevo ancora dei luoghi. A esempio ero molto legato alla regione carsica dei Balcani. Ma la Jugoslavia non esiste più» • «Partì per la Jugoslavia all’epoca della sua disintegrazione e al ritorno ne uscirono due libri, Un viaggio d’inverno e Appendice estiva a un viaggio d’inverno. Raccontano di amicizie spezzate dalla guerra lungo le sponde della Drina, della solitudine del popolo serbo diventato agli occhi del mondo “cattivo” e condannato a rimanere senza amici. La stessa sorte che subirono i figli degli amici serbi di Handke, a scuola, a Parigi, in seguito alla propaganda dei media internazionali scatenati a costruire il mostro di turno» (Giorgio Callea, il manifesto, 26/10/2019) • «Chi ha scritto lo stupendo La paura del portiere prima del calcio di rigore […] è la medesima persona che non ha esitato a paragonare i serbi agli ebrei durante il Terzo Reich? L’autore dello struggente Infelicità senza desideri, scritto nel 1971 a poche settimane dal suicidio della madre, è colui che definì Belgrado bombardata dalla Nato come “una nuova Auschwitz”? Salman Rushdie lo propose per il titolo di “Coglione internazionale dell’anno”. Susan Sontag annunciò che non lo avrebbe più letto. Alain Finkielkraut lo ha bollato: “E’ un mostro ideologico”. La Comédie Française eliminò dal suo cartellone una sua pièce. Olivier Py [attore e regista, ndr] propone di boicottarne i libri. Era diventato un “impresentabile”. Geniale, ma inaccettabile» (Coen) • «“Ero in Kosovo ad aprile e ci sono stato altre quattro volte recentemente. Sono rimasto veramente impressionato da quel che ho visto nell’enclave di Veliha Hoca, un villaggio con una grande chiesa ortodossa, e poi a Orahovac. […] là si capisce come vivono i serbi, come sono occupati, espropriati di ogni possedimento, costretti a uscire solo alle quattro di mattina, sempre terrorizzati. La Süddeutsche Zeitung, parlando di un’enclave serba, ha scritto incredibilmente: “I serbi pretendono di avere paura”. Ecco l’ideologia, il giudizio precostituito. No, i serbi non “pretendono di avere paura”, semplicemente vivono nel terrore e hanno subìto tante uccisioni in questo periodo. Lì non ci sono più cimiteri serbi fuori dei villaggi come ovunque in Serbia. A Orahovac i cimiteri sono stati spostati al centro dei villaggi, dentro l’enclave e gli autobus che ogni tanto arrivano da Mitrovica devono stare attenti a non distruggere le nuove tombe. Perfino l’ordinario culto dei morti è impossibile, chi lo esercita può venire ucciso e le stesse lapidi vengono spesso distrutte. […] Ho visto solo odio in Kosovo. È la Nato ad aver creato questa situazione tragica e insopportabile, la Nato che ha bombardato tutta l’ex Jugoslavia. […] Basta vedere solo un simbolo serbo, un autobus o un pullman che si avvicina ai monasteri più belli d’Europa come Decani o Gracanica, che anche i bambini, in modo automatico, lanciano pietre. I serbi sono ridotti a un gregge di pecore smarrite e impaurite. Hanno parlato della violenza dei serbi contro gli albanesi, ma hanno taciuto in tutti questi anni centinaia e centinaia di uccisioni e la distruzione dei monasteri. Hanno raccontato che i serbi volevano cacciare due milioni di albanesi, per quello è stata giustificata la guerra di bombardamenti aerei. Hanno fatto un gran teatro [..] buono per le troupe televisive del mondo, per la propaganda della Nato. Quei rifugiati, per gran parte in fuga per la paura dei bombardamenti aerei, si sono sistemati appena al di là della frontiera macedone e sono tutti rientrati dopo due mesi. Così hanno inventato una nuova maledetta guerra di foto e servizi tv. […] Anche i serbi hanno commesso crimini, ed è stata una vergogna per quel popolo e chi lo dirigeva. Ma nessuno descriveva una guerra interetnica, nessuno parlava di questi attacchi armati contro i serbi e gli stessi albanesi moderati da parte dei ‘guerriglieri della libertà’. A pochi giorni dalla guerra della Nato Le Monde, e anche molti giornali di sinistra, titolavano ‘Terrore in piena Europa, 50mila vittime’. C’erano tante vittime, ma dell’una e dell’altra parte e molte di albanesi moderati uccisi dall’Uck. Alla fine il Tribunale dell’Aja ha trovato la sepoltura di duemila corpi, perlopiù caduti in combattimento. Ma non le cinquantamila o le ‘cinquecentomila’ vittime con cui titolò nel 1999 il New York Times. La stessa Corte suprema di Pristina il 6 settembre 2001 ha riconosciuto in una sentenza importante che ci furono violenze dei miliziani serbi ma non un ‘genocidio’, dichiarando nel dispositivo processuale di avere le prove che la fuga di ottocentomila albanesi era motivata dalla paura dei bombardamenti della Nato […] Nei miei “viaggi in inverno”, sono stato molte volte negli hotel che ospitano i profughi, a Nikotin, Friska Gora, Bor, Nis. […] Quando entri in uno di quegli hotel vedi gente seduta in terra sulle sue gambe, tutto il giorno inebetita, finché non decide di bere alcool. Con le donne anziane che cercano di salvare la loro dignità e quella dei bambini intorno. Aspettano di morire o di fuggire […]. E nonostante questo ci sono dei giovani che dipingono, per mangiare e per descrivere esistenzialmente quello che sono diventati. Se fossi un giornalista vivrei mesi con quella gente, come faceva Ryszard Kapuscinski. Non lo fa nessuno. In Germania ci sono borse di studio in alcune città per i giovani scrittori perché come ospiti descrivano quelle realtà per un anno. Ho proposto: mandiamoli un mese tra i profughi serbi. Nessuno scrittore si è fatto avanti, preferiscono avere duemila euro di premio per parlare di cucina. Comincio a detestare i giovani scrittori”. Lei è stato accusato d’avere portato una rosa rossa sulla tomba di Milosevic e di avere approvato il massacro di Srbrenica? “Una menzogna assoluta. Il Tribunale di Parigi ha condannato il Nouvel Observateur per diffamazione per queste affermazioni: m’avevano attribuito che io avevo dichiarato d’essere felice solo vicino Milosevic. Chi mi conosce sa che odio tutti gli uomini di potere. Ma naturalmente tutti i giornali francesi hanno oscurato la condanna. […] Amo profondamente la Francia di George Bernanos, di François Mauriac, e soprattutto di Albert Camus ma la cultura di questa Francia è veramente vergognosa. Ci sono ormai le caricature della letteratura e della filosofia come André Gluksmann, Bernard-Henri Lévy, e le macchiette del diritto internazionale e dell’umanitario come Bernard Kouchner, diventato nel frattempo ministro degli esteri. Quanto a Srbrenica hanno fatto la caricatura delle mie parole. Io ho condannato i crimini commessi dai serbi, ho ricordato però che tutto è incomprensibile se non si ricordano le stragi, anche di donne, vecchi e bambini - non come a Srbrenica - perpetrate prima dalle milizie bosniaco-musulmane guidate dal comandante di Srbrenica Naser Oric nei villaggi intorno a Srbrenica, a Kravica, a Bratunac. Fatte con l’autorizzazione del presidente Izetbegovic. Era una feroce guerra interetnica e interreligiosa da denunciare tutta quanta” […] Perché uno scrittore come lei, che continua il lavoro sul dolore di vivere che è stato di Franz Kafka, mostra di essere così implicato nelle ferite dei Balcani? “La mia vita di scrittore vivrebbe davvero piccole emozioni senza questa passione. Scrivere è una professione molto nobile, ma se non mi fossi così coinvolto, mischiato nel conflitto jugoslavo non avrei meritato d’essere ancora uno scrittore. Sono fiero di avere scritto sui profughi serbi. Penso che la letteratura, come dico di Erri De Luca, deve essere misericordiosa. Sennò non avrei alcun diritto ad essere scrittore”» (Di Francesco).
Stile «Oggi invece tutti vorrebbero che uno scrivesse come Philip Roth, nel senso di avere una costruzione, a good story, tutto bell’e pronto. Per me però quella è letteratura di seconda categoria. Io sono uno che cerca. […] Io ho una trama ma preferisco nasconderla, fare lunghe deviazioni, prendere vie traverse, vagare attraverso paesaggi epici come un fiume meandrico. Certo uno deve stare attento a non cadere nella trappola della lingua. Il tedesco è magnetico. C’è sempre il rischio di scivolare nel formalismo, o, peggio ancora, nell’autocompiacimento, nella mistica. La lingua bisogna amarla e combatterla insieme, è un passaggio continuo tra Scilla e Cariddi, questa è la cosa affascinante».
Nobel «Quando lo hanno chiamato da Stoccolma […] è rimasto interdetto. Ha chiesto, con un fil di voce: “Ist es Wahr? È vero?”. Ha tradito la sua incredulità. Qualcuno malignerà: coda di paglia» (Coen).
Giudizi «Il Bob Dylan degli apologeti del genocidio» (New York Times) • «Perché dare il Nobel a chi ha celebrato un criminale di guerra?» (Washington Post) • «Questo Nobel è una celebrazione della violenza» (The Nation) • «Niente vi obbliga ad andare da questi criminali e a stringer loro la mano. È osceno ed è ciò che ha fatto Peter Handke. È forse un artista fantastico, ma come essere umano, lui è il mio nemico […] Peter Handke non ha ucciso nessuno. Ma è uno stronzo» (Johathan Littel, London Review of Books, 2008) • «Alcuni, come Ponzio Pilato, se ne lavano le mani. Le polemiche? Che c’entrano? Questo è il massimo premio letterario del pianeta, mica un premio politico. Handke meritava da anni il Nobel. Ha scontato il purgatorio. Ora merita il paradiso… Eh, no cari miei. Chi scrive fa sempre politica. Troppo comodo dire, come ha fatto lo stesso Handke […] che “le mie non erano posizioni politiche”, in quanto “sono uno scrittore non un giornalista. C’è stato molto rumore quando ho scritto in modo diverso sulla guerra civile in Jugoslavia”. Diverso? Avallando le turpitudini?» (Coen) • «Amico della Jugoslavia, non della Serbia, vedeva in Milosevic un personaggio tragico. […] L’eccesso che ti porta dalla buona alla cattiva sorte: in ciò non c’è nulla di nobile, ma una caduta dolorosa che fa parte della condizione umana. Tuttavia Milosevic volle l’impunità, andò oltre Eteocle e Polinice, che avviandosi consapevolmente alla morte accettarono il destino infausto da loro stessi costruito. Il gesto di Handke di andare al suo funerale fu un eccesso di convinzione di sé che si poteva evitare. Dandogli il Nobel l’establishment culturale ha posto fine a un ostracismo che sapeva di ipocrisia. […] la fine di una caccia alle streghe può portare più chiarezza sul fatto che l’eccesso di autoreferenzialità può condurre lo scrittore in un terreno lunare, per nulla tragico, com’è successo con Céline e Pound» (Sarantis Thanopulos, il manifesto, 26/10/2019).
Famiglia Sposato con l’attrice Libgart Schwarz nel 1967, da cui ha avuto la figlia Amina (n. 1969) • Poi con Sophie Semin, anche lei attrice, da cui ha avuto Leocadie (n. 1991) • «“Quando in strada una voce di bambino chiama Papà! mi volto sempre, come se si rivolgesse a me” […] In mezzo ai quadri vedo una foto di lui, seduto accanto a una bambina che pare felice. Mi fa segno di no: “Non è lei, questa è la più piccola”. Chiedo della maggiore, alla quale è stato così vicino e così a lungo […] “Ha quarantaquattro anni ed ha avuto alti e bassi”. Poi, senza che glielo abbia chiesto: “Con lei non mi intendo tanto bene. Se certe cose nella sua vita non vanno, tende ad attribuirle a me”» (Zoja)
Curiosità Cittadino onorario di Belgrado dal 2015 • Ha detto di considerare l’Austria «un Paese tanto piccolo quanto cattivo», ma anche di sentirsi comunque austriaco • Non sopporta i giornalisti, anche perché lo vogliono intervistare senza aver letto i suoi libri • Scrive sempre e solo a matita • Ha scritto saggi dedicati alla stanchezza (1989), al juke-box (1990), alla «giornata riuscita» (1990), ai cercatori di funghi (2013), e ai bagni pubblici visitati nella sua vita (2014) • «Tiene aperta sulla scrivania la versione originale dell’Odissea, letta e riletta in greco, fitta di note a margine, appunti, glosse annotate a matita dando forma ai pensieri che sorgono sull’onda degli esametri dattilici» (Iadicicco) • In giardino ha un pero, un cedro, un noce e un castagno; li coltiva di persona • Gli piace cucinare e disegnare • «Io sono daltonico - lo dice lui, ma chissà se è vero, giureremmo che ci sta prendendo in giro… - Distinguo a fatica il verde dal rosso. Anzi vedo solo il verde e non il rosso: è un dono divino, ti permette di non vedere mai il sangue da nessuna parte» • La mattina legge, tiene un diario. Verso mezzogiorno, una passeggiata nel bosco. D’inverno, nel pomeriggio, va al cinema: a Parigi o a Versailles «Film ne vedo tantissimi, anche quelli brutti. Comunque il cinema è stimolante. Lo stesso non vale per i libri. Un brutto libro provoca un’irritazione sterile e cattiva» (Iadicicco, 2015) • «Gli antichi confini — politici, economici — sono scomparsi. Eppure i confini culturali sono molto più forti. I libri — non parlo di libri veri — sono scritti dappertutto allo stesso modo: in America, Russia, Cina... Questa indifferenza è peggiore di qualsiasi confine, dei confini che un tempo mi erano cari».
Titoli di coda «Disturbato mentale non lo è affatto, ma forse lo sarebbe divenuto se non si fosse lasciato guidare dal demone della scrittura. Ci sono anche i demoni buoni» (Zoja).