il Giornale, 5 dicembre 2019
Berlino, addio al Checkpoint Charlie
Dopo 58 anni ininterrotti di servizio il Checkpoint Charlie va in pensione. Lo ha deciso il Senato, il nome con cui a Berlino si indica il governo della città-Stato. La risoluzione approvata dal governo rosso-rosso-verde del borgomastro socialdemocratico Michael Müller prevede che al posto del casottino bianco immortalato ogni giorno in migliaia di foto di turisti e passanti siano costruiti degli appartamenti; al posto dell’adiacente «Museo del Muro», un piccolo spazio espositivo privato che illustra la vita e soprattutto la morte di chi ha tentato la fuga dall’est verso l’ovest sarà invece edificato un museo della Guerra Fredda; il tutto nell’ambito di una nuova piazza cittadina per riorganizzare lo spazio, oggi molto disordinato, in cui i visitatori sciamano come le api.
Il parlamento cittadino dovrebbe approvare il progetto entro febbraio 2021. Già a novembre giunta berlinese aveva dato segni di insofferenza emettendo un’ordinanza per impedire ai finti militari in finta uniforme di accalappiare i turisti ai quali vendere una scatto «storico» rigorosamente a pagamento. Anche il posto di blocco, fra l’altro, è «finto»: l’originale era stato smantellato nel 1990, risistemato presso il Museo degli Alleati lontano dal centro, e sostituito con una copia. Eretto nell’agosto del 1961 assieme al Muro, il Checkpoint Charlie non prende il nome da qualche marine americano di stanza sul confine con il settore sovietico ma è più prosaicamente il terzo posto di blocco dopo quello denominati Alpha, sull’ex confine fra la Ddr e la Germania ovest, 190 km più a ovest, e il Chekpoint Bravo, una specie di grande autogrill della Guerra Fredda ancora ben visibile a chi arrivi in auto a Berlino da sud.
Grazie alla sua posizione al cuore della frattura fra est e ovest, Charlie avrà però molta più notorietà dei suoi fratelli alfabeticamente maggiori. Appena due mesi dopo la sua inaugurazione, era il 26 ottobre del 1961, il posto di controllo fu il teatro di una violenta crisi est-ovest scoppiata dopo che un militare americano rifiutò di farsi controllare i documenti dai Vopos della Germania est, riconoscendo la sola autorità dei militari sovietici. In poche ore si arrivò al dispiegamento di carri armati dalle due parti e solo una telefonata del presidente John F. Kennedy al leader sovietico Nikita Krusciovriportò la normalità sul confine. E sempre al Checkpoint Charlie nel 1962 i sovietici rilasceranno l’economista statunitense Frederic Pryor che era stato arrestato sei mesi prima a Berlino est, dove l’allora dottorando dell’americana Freie Universität Berlin si era incautamente recato per incontrare un professore della Ddr.
I tentativi di fuga attraverso il varco cittadino non si contano, specialmente quelli finiti male. Finì invece bene la spettacolare fuga dell’austriaco Heinrich Meixner che noleggiò una Austin-Healey Sprite rossa fiammante, si recò a Berlino est per recuperare la fidanzata e la suocera, che sistemò nel portabagagli. Sgonfiate un po’ le ruote dell’auto sportiva alla quale aveva anche tolto il parabrezza, Meixner si lanciò a tutta velocità contro il Checkpoint Charlie passando di misura sotto la barriera abbassata, e rischiando però di farsi sparare in testa.
L’ultimo a dare un passaggio a due cittadini dell’est alla ricerca della libertà fu il soldato americano Eric Yaw che li nascose nel 1989 nel suo furgone. Da allora al Checkpoint Charlie i soldati Usa si vedono solo nella grande fotografia che campeggia sulla ricostruzione del casottino bianco. Dall’altro lato del cartellone, il soldato è invece un giovane sovietico.