Libero, 5 dicembre 2019
Biografia di Elisabetta Dami raccontata da se stessa
«Sarò lieta di incontrarla nella mia casa di Milano il giorno 14 novembre alle ore 10. Formaggiosi saluti Geronimo Stilton». Il messaggio arriva in una mattina di novembre. Talmente bello e saporito da illuminare una città uggiosa. Geronimo Stilton – l’eroe letterario di tutti i bambini del mondo riprodotto in 50 lingue e in 170 milioni di copie (in Italia, Edizioni Piemme) – esiste davvero. Ed ha una casa in una stradina stretta e silenziosa di Milano che ha rubato i colori alle favole. Un cortile pieno di piante e bassorilievi. Un atrio dipinto di verde con delicati intarsi fiorati. E l’ascensore è un susseguirsi di specchi e ottoni che prima o poi mi inghiottiranno come in un incantesimo dorato. Lo studio in cui scrive Stilton è scaldato dal ticchettio immaginario di vecchie macchine per scrivere, un casco da palombaro campeggia in un angolo della stanza casomai servisse precipitare mille leghe sotto i mari. Su una poltrona davanti alla studio una montagna di opere di Geronimo siedono compite e sorridenti sotto lo sguardo vigile di un orsetto di peluche che appartenne a una bimba meravigliosa piena di fantasia e fate per la testa. Sarà lui il maggiordomo di Geronimo? C’è profumo della legna che brucia nel camino e un jukebox che rimanda vecchie canzoni. Mentre dagli scaffali straripano capolavori della letteratura, fotografie di nativi americani pieni di stupore e pace, e frammenti di incontri ravvicinati con le paludi dell’Africa e coi gorilla nella nebbia. Non ho mai intervistato un topo in vita mia. Geronimo, pardon Elisabetta Dami (vera autrice e creatrice di Stilton), sorride divertita. Milioni di copie vendute nel mondo. E tutto comincia con un topo. Ma perché? «Da piccolina avevo un topino piccolissimo e bianco di nome Benjamin. Mi teneva compagnia mentre facevo i compiti, correva su e giù lungo il mio braccio per poi mettersi zitto zitto a guardarmi. I topi sono curiosi come i bambini e gli artisti. E molto intelligenti. Anche Walt Disney si ispirò a un topino che gli faceva visita nella soffitta dove lavorava». Ma doveva fare proprio il giornalista e dirigere l’Eco del Roditore? «Voi che fate informazione e noi che scriviamo i libri abbiamo l’enorme responsabilità di comunicare con obiettività, sincerità e accuratezza le informazioni a chi ha fiducia nel nostro lavoro. Fare bene le cose è una responsabilità importante ed è uno dei valori che Geronimo mette in pratica». Perché Geronimo? «Era la parola che pronunciavano i paracadutisti americani appena si lanciavano. Bisogna far passare qualche secondo prima di aprire il paracadute altrimenti si impiglia. L’alternativa è contare fino a 5 e poi sganciare. E poiché io mi lanciavo…». Scelse Geronimo… Stilton invece? «È un magnifico formaggio che si produce dal 1700 in Inghilterra con lo stesso metodo di due secoli fa». Qual è il segreto di un topino giornalista? «Le sue storie sono avventurose e umoristiche. Con valori etici che valgono per tutti i ragazzi del mondo. Integrità, sincerità, onestà, lealtà, gentilezza, coraggio. E infine rispetto, importantissimo perché quando c’è il rispetto per se stessi, per gli altri e per le istituzioni derivano a cascata tutti gli altri valori». Valori un po’ smarriti. «Sono i valori che un tempo si davano per scontati e oggi non lo sono più. Ma sono alla base dell’armonia sociale e della convivenza. E tutti i genitori dovrebbero trasmetterli ai figli, con le parole e con l’esempio». Geronimo l’ha cambiata? «Sono rimasta la stessa persona di sempre. Ma con Geronimo ho realizzato un sogno e sono diventata la mamma di milioni di bimbi». Però tutto è iniziato con una ferita lacerante. «Più di vent’anni fa scoprii che non potevo avere figli a causa di una malattia grave che mi aveva colpito. E iniziai a fare volontariato in un ospedale per bambini. A quell’epoca un medico americano di nome Patch Adams si era accorto che i bimbi ricoverati avevano bisogno di sorridere e sperare. Io allora mi inventai le avventure di Geronimo. Andavo in corsia alla De Marchi di Milano e raccontavo ai piccoli pazienti di questo topo giornalista e pasticcione. Mi accorsi che le sue storie funzionavano e cominciai a scriverle». È riuscita a colmare il vuoto? «Tempo fa ho letto una frase che mi ha colpito molto: il cuore di una donna è fatto per amare…». E quindi? «Quindi la mia storia è diventata a lieto fine. Ho avuto la forza di rimbalzare il dolore e questo è stato fondamentale. Quando tocchi il fondo, anziché pensare che il problema sia pura negatività, devi concentrarti sulle opportunità che ti offre. Ho visto donne in ospedale nella mia stessa situazione crollare psicologicamente, disgregarsi. E in quel momento mi sono accorta di avere una capacità di resilienza straordinaria». Resilienza… ne parlano in tanti e pochi sanno. «È la capacità di reagire con flessibilità e adattarsi a tutte le situazioni. Ne ho parlato di recente alla fiera internazionale del libro di Sharjah, negli Emirati Arabi, il più importante evento al mondo dell’editoria in lingua araba. C’era un convegno sulle discriminazioni di genere e su cosa può esser fatto per aiutare le donne a valorizzarsi culturalmente. In quell’occasione ho ribadito che gli uomini sanno essere forti ma le donne sanno essere resilienti. Io per esempio mi sono riscritta il finale, ho messo tutto l’amore di una mamma nei miei libri e i bimbi l’hanno sentito». Geronimo è un eroe? «Geronimo è un eroe con mille debolezze, un eroe riluttante. Simpatico, allegro, curioso ma anche timido e pauroso. Forse è per questo che piace tanto. I ragazzi lo considerano un amico buono, affidabile e sincero e gli scrivono lettere e messaggi chiedendogli consigli». Ma Geronimo è lei… «E sono una persona normale. Non rischio la vita, sono prudente ma per salvare un debole in difficoltà o riparare un’ingiustizia farei qualsiasi cosa. Inoltre provo tutte le cose belle e buone del mondo almeno una volta nella vita. Anche quelle che mi fanno paura». Per esempio? «Soffro di mal di mare ma ho preso la patente nautica. Soffro di vertigini e mi sono lanciata col paracadute. Mi piace andare lontano lontano ma per il piacere di tornare. Sono convinta di un fatto: nella vita le cose le fai quando ti passano davanti, non quando è il momento giusto». Come le tre maratone di New York e la 120 km nel Sahara. Cose da pazzi, mi consenta. «Del Sahara dico solo che eravamo 11 donne su 100 atleti e sono arrivata in fondo nonostante un colpo di calore nel bel mezzo del deserto. L’ultima di New York invece… beh era il 2017. Quell’anno fui operata a giugno e poi a luglio. Appena uscita dalla sala operatoria chiesi al chirurgo “posso fare la maratona?” Lui rispose “non se ne parla”. Ovviamente andai. Ricordo ancora le ultime tre miglia, c’era da percorrere un ponte detto Hamburger Hill perché è quello in cui tutti gli atleti cadono stremati. Arrivai in fondo con l’aiuto di due atleti generosi e dedicai la gara ai ragazzi del Granello, l’associazione che da anni si occupa dei giovani disabili». Fa tanta beneficenza lei. «Vendere 170 milioni di copie mi ha permesso di aiutare gli altri. La fondazione Geronimo Stilton segue i ragazzi e le ragazze, in Italia e nel mondo, con progetti per la salute e l’istruzione. Anche i nativi d’America hanno riconosciuto il mio impegno in favore dei bimbi. Una donna Cherokee, Mamma Piuma, loro portavoce, mi ha persino adottato e mi ha dato il nome di Piccolo Lupo. Un riconoscimento rarissimo di cui vado molto fiera». Occorre viaggiare per scrivere? «I viaggi di Stilton sono i miei. Ed è fondamentale provare un’emozione per raccontarla. Un giorno un editore americano mi chiese un libro sulle cascate del Niagara. Non le avevo mai viste e decisi di fare un viaggio lampo. Ricordo la cerata, la barchetta a ridosso delle cascate, gli schizzi d’acqua… ma quello che mi impressionò di più fu il rumore delle cascate. Ancor prima di vederle, ancora prima di restare abbagliata da quella meraviglia della natura, sentii il loro rumore. E una volta a casa lo raccontai». Cito qualche suo viaggio: giro del mondo a 23 anni con corso di sopravvivenza incluso a 25 gradi sotto zero. I ghiacciai del Polo Nord, le foreste del Nepal e i picchi dell’Himalaya, le Cascate Vittoria, la foresta tropicale centrafricana. Ha rischiato la vita spesso... «La cosa più pericolosa sono le malattie ma io porto tutto l’essenziale con me e so come difendermi». C’è una foto di lei in Africa mentre attraversa a piedi nudi un fiume melmoso. Non mi pare saggio. «Non c’era alternativa. Temevo il peggio ma l’ho attraversato e ho sorriso al fotografo perché ho pensato comunque vada verrò con la faccia felice. Ho anche avuto un incontro ravvicinato con un gorilla… ma ho tenuto lo sguardo basso e lui mi ha risparmiato». Quante ore scrive? «Tutto il giorno. Mi alzo la mattina, faccio ginnastica, una colazione abbondante e poi comincio. Mio papà Piero Dami faceva l’editore. Era molto severo, mi ha insegnato la disciplina e la dedizione. Aveva standard altissimi. Io lavoravo con mio fratello ma una donna allora doveva essere due volte più brava. Ho cominciato a 13 anni a fare la correttrice di bozze per lui. Corressi un libro di mitologia di Mino Milani e fui così precisa che l’autore si complimentò con papà». Mai avuto il problema del foglio bianco? «Se uno pensa che può permettersi il problema del foglio bianco è finito. Scrivo di getto, quando ho dubbi chiedo ad amici e collaboratori. Molti bambini mi danno consigli. Ho un segreto sa… Entusiasmo, organizzazione e metterci il cuore sempre». Penso che in lei si riconoscano in tanti… «In me si riconoscono le donne che non hanno figli perché capiscono cosa ho provato. Le donne che li hanno avuti perché capiscono l’amore che provo per i bambini. Le donne giovani perché vedono quante cose potranno fare nella vita e le meno giovani perché vedono cosa si può fare ancora, le sportive e le non sportive». Una persona che ha nel cuore? «La maestra Paola. Mi insegnò che i concetti sono fondamentali ma se non conosci le regole della grammatica non vai da nessuna parte». È buonissimo Stilton lo sa? Fin troppo... «E dice spesso una frase. La vita è bella, il mondo meraviglioso e io vi voglio bene. La frase buca perché in un mondo cinico come il nostro la gente non si aspetta una dichiarazione d’affetto». Si sposerà mai Geronimo? «Ha una quasi fidanzata Tenebrosa Tenebrax divertentissima che ricorda tanto la famiglia Addams. Vanno d’accordo perché sono uno diverso dall’altra. Ho chiesto ai lettori se volevano vederlo sposato e loro hanno risposto: “se si sposa come fa a dedicarsi a noi?”». Resta comunque un gentiluomo… «Un gentiltopo in giacca e cravatta e gli piacciono i colori allegri, verde e rosso perché ricordano la bandiera italiana. Ma presto cambierà look». Non l’ha mai stancata parlare e scrivere di lui? «Continuo a divertirmi perché attraverso Geronimo parlo con la voce di un topo e scorrazzo con altri registri. Scherzo, racconto barzellette. Ficcanaso Squit è il mio personaggio preferito ma c’è una galleria di soggetti impressionante e di archetipi psicologici che portiamo tutti dentro». Ha viaggiato in tutto il mondo. C’è un luogo che vorrebbe visitare? «A Natale vorrei seguire le balene nel loro lungo viaggio attraverso l’oceano. E poi scrivere di loro…». Ps. La fiaba, pardon l’incontro, finisce qui. Ho fatto questa intervista con la mia bambina Viola accanto. I suoi occhi brillavano e la sua fantasia viaggiava. Voleva conoscere a tutti i costi Geronimo. Insieme abbiamo scoperto una casa di fiaba e una mamma sensibile e vera.