Il Messaggero, 5 dicembre 2019
Sull’addio di Brin e Page a Google
Svolta epocale al vertice di Alphabet, la società ombrello creata cinque anni fa da Google. I due fondatori dell’azienda Sergey Brin e Larry Page si sono fatti da parte, e hanno lasciato il controllo nelle mani dell’amministratore esecutivo Sunder Pichai che loro stessi avevano elevato al controllo di Google. La notizia è stata accolta con favore a Wall Street, dove il titolo Alphabet si è impennato all’apertura delle trattative. Sicché nel giro di poche ore i due imprenditori-inventori 46enni hanno visto i rispettivi patrimoni personali crescere di 1 miliardo di dollari ciascuno.
I LIMITI
L’uscita di scena non è una sorpresa: Page e Brin l’hanno programmata probabilmente a partire dalla data del 2 di ottobre del 2015, quando isolarono le attività di Google dalle «Other Bets», le nuove scommesse tecnologiche e crearono Alphabeth. Da una parte il corpo centrale dell’azienda, quello che ha prodotto 137 miliardi di dollari nel 2018 e che vale una capitalizzazione di 900 miliardi. Dall’altra il sogno di violare ancora una volta i confini dell’universo conosciuto, per scoprire nuovi software e superare i limiti attuali di tutte le scienze umane. I due amici dell’università di Stanford sono riusciti a governare per 21 anni da soli il gigante di proporzioni mostruose, cresciuto dall’idea iniziale di creare un motore di ricerca semplice ed efficiente. Ci sono riusciti perché avevano personalità complementari. Estrosa e creativa quella di Larry, figlio di una coppia di insegnanti universitari del Michigan; riflessiva e analitica quella di Sergey, giunto negli Usa da bambino con la sua famiglia come rifugiato in fuga dall’Unione Sovietica. Oggi che Google è diventata una multinazionale con 100.000 impiegati e decine di sussidiarie, hanno lentamente perso l’interesse, e forse la capacità di tenerne le redini. Negli ultimi anni hanno concesso sempre più autonomia a Pichai, un amministratore metodico ed efficace, cresciuto più nella sfera della cultura del management aziendale che in quella della ricerca creativa. I due padri fondatori hanno inseguito progetti stravaganti, come la creazione di un’auto volante, la bicicletta ellittica, e la chimera dell’eterna giovinezza, forse l’immortalità.
LE ESIGENZE
Sono entrati nella schiera di tanti altri padri fondatori della Silicon Valley, oggi miliardari e alla ricerca di nuove emozioni creative. Il passaggio di consegne risponde poi ad altre esigenze specifiche, e alle sfide che Google si trova a dover affrontare per difendere la posizione di dominio che ha raggiunto. Praticamente ogni stato degli Usa e del resto del mondo ha iniziato a mettere in questione il regime di monopolio nel quale l’azienda opera, sia nell’imporre il suo software che nell’accaparrare in modo esclusivo e competitivo la pubblicità disponibile. La commissione antitrust di Washington e il ministero di Giustizia stanno indagando, e presto potrebbero aprire procedimenti che mirano a spacchettare l’azienda per trasformarla in una moltitudine di entità di minor peso sul mercato. Più in generale presso il pubblico internazionale si sta diffondendo la consapevolezza del valore dei dati personali che ogni giorno siamo chiamati a comunicare volontariamente quando apriamo un sito o utilizziamo un’applicazione, e una sfiducia nei confronti dei giganti dell’Internet come Google che quei dati li raccolgono e li commerciano, a scapito della nostra sicurezza. Page e Brin hanno scrollato le spalle di fronte a questo problema emergente, e si sono dimostrati poco interessati ad affrontarlo, almeno fino a quando il caso è divenuto esplosivo con le udienze congressuali della scorsa primavera. Pichai è l’amministratore che sarà chiamato a risolvere la sfida, e al tempo stesso trovare nuovi moduli di crescita per un’azienda che sembra aver raggiunto il suo massimo potenziale, gigantesco che sia.
LA CONCORRENZA
Alle spalle di Google la concorrenza è agguerrita, ma distanziata di larghissima misura. Snapchat si è risollevata dal passo falso del 2017, e punta a raggiungere il traguardo di 300 milioni di utenti. Verizon con la fusione di Aol e Yahoo aspira ad averne 2 miliardi, e la AT&T segue sulla stessa pista. Nessuna tra loro riesce però a scalfire il monopolio di raccolta pubblicitaria di Google e Facebook, e gli affitti dei garage nella Silicon Valley sono diventati troppo esosi per sperare che si stiano partorendo nuovi miracoli di tecnologia. I due fondatori di Google seguono la scia già solcata da Bill Gates (Microsoft) Larry Ellison (Oracle), Travis Kalanick (Uber), e ieri anche Mark Okerstrom (Expedia) nello scendere dal podio, e diventare, come hanno scritto nel messaggio di addio «Genitori orgogliosi, che offrono consigli e affetto, ma non quotidiane raccomandazioni». A differenza degli altri però, continuano a tenere in tasca un centinaio di milioni di azioni, e una quota del 51% dei voti nell’assemblea degli azionisti che li mantiene al solido controllo delle prossime decisioni. Cosa accadrà se Pichai, come molti osservatori raccomandano, vorrà eliminare le Other Bets, fonte di ispirazione ma anche di spesa deficitaria fino ad oggi?