ItaliaOggi, 4 dicembre 2019
Decorare i pavimenti con i resti di cibo era di moda ai tempi di greci e romani
In termini moderni, l’etichetta praticata ai sontuosi banchetti della Roma imperiale lasciava a desiderare. Spolpato l’osso, svuotata l’ostrica, i resti finivano per terra insieme con l’altra spazzatura accumulata durante la cena. L’usanza è celebrata in questo particolare di una splendida pavimentazione mosaica conservata al museo gregoriano profano del Vaticano, «profano» in quanto raccoglie arte non cristiana.Questi memoriali ai resti della cena costituivano allora un noto tema decorativo, di origine greca, ma adottato con entusiasmo dagli antichi romani abbienti: l’asàrotos òikos, cioè, il pavimento non spazzato. L’ideò nel II secolo a.C. Soso di Pergamo. Qui è ripreso dal maestro mosaicista Eraclito che firma l’opera, proveniente dal triclinio, la sala da pranzo, di una villa d’epoca adriana sull’Aventino.
Il pavimento è disseminato di rimasugli di cibo, come doveva presentarsi alla fine di una gloriosa mangiata: ci sono i frutti, lische di pesci, ossa di pollo, molluschi, conchiglie e perfino un topo (non visibile qui) che rosicchia un guscio di noce: una sottolineatura dello sforzo fatto per rendere «realistici» i resti raffigurati.
La tridimensionalità delle zampe, le ossa, i gusci dei ricci di mare e altro è enfatizzata dalle ombre, però di tonalità e d’orientamento non uniformi. Vista la perizia con cui fu eseguito il lavoro, si pensa che la variabilità potesse essere un tentativo deliberato di riprodurre l’incerta illuminazione delle lampade ad olio.
È probabilmente impensabile un’opera simile oggi, non solo per l’evoluzione dell’etichetta, ma anche per i costi davvero ingenti di una pavimentazione del genere, almeno se fatta a mano. Comunque, volendo farlo, che segni della nostra civiltà, e di una cena al di sopra delle righe, potremmo lasciare per terra? Forse tappi e sigari spenti, forse solo i tappi...
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