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Il mio primo incontro con Vita? o Teatro? di Charlotte Salomon è avvenuto per caso. Avevo in programma di non muovermi dalla Francia per tutta la durata del mio breve viaggio in Europa, ma mi chiamò una persona amica che non vedevo da tempo e, tra le altre cose, mi disse che sarebbe stata per una mezza giornata a poche ore di treno da me. (Vale la pena precisare che di quella persona ero stato e continuavo a essere innamorato). All’epoca ero ancora uno studente e a qualsiasi proposta mi si facesse rispondevo invariabilmente: «Perché no?». Arrivai ad Amsterdam a metà mattinata e, dopo essermi registrato in albergo, mi trovai con un’ora buona da far passare prima dell’appuntamento con la persona che tanto mi premeva escludere dal novero delle mie amicizie.
Era una bella giornata di sole. Se il tempo fosse stato diverso, difficilmente oggi sarei qui a scrivere queste righe. Andai a fare una passeggiata, senza cartina e senza una meta precisa, affidando i miei passi al percorso obbligato che si apriva tra l’acqua ferma dei canali e le alte finestre, e di punto in bianco mi ritrovai non so come davanti all’ingresso del Jewish Historical Museum. Controllai l’orologio, incerto se entrare visto il poco tempo a disposizione, esitai ancora un po’, questa volta domandandomi se non fossi per caso il genere di ebreo che, sia pure senza volerlo, passa il grosso del suo tempo libero in una città straniera facendo qualcosa di inequivocabilmente ebraico. Entrai.
Vita? o Teatro? di Charlotte Salomon, di cui erano in mostra alcune tempere, non mi ha folgorato su due piedi, direi piuttosto che mi ha imbevuto come si imbevono lentamente d’acqua le nuvole di un temporale. Le prime immagini su cui ho posato gli occhi non mi hanno toccato nel profondo, ma hanno lasciato il segno. Non mi ricordavano niente di già visto, e se per un verso la cosa mi incuriosiva, per l’altro mi precludeva il giubilo istantaneo del riconoscimento. Ho trovato i testi interessanti – avevo da poco iniziato a scrivere il mio primo romanzo e la maggior parte dei testi mi sembrava interessante –, ma non avvincenti. Erano inusuali, opachi. Il tempo passava e, senza che me ne rendessi bene conto, il mio interesse cresceva. Ho iniziato a osservare e a leggere, invece che a guardarmi semplicemente attorno. Sono arrivato all’ultima tempera, ho controllato l’orologio e sono tornato alla prima. Sono arrivato di nuovo in fondo e di nuovo sono tornato all’inizio, questa volta senza controllare l’ora. Ero in ritardo per il pranzo. Effettivamente, poco tempo dopo l’amicizia è finita, anche se non come speravo io. Ho concluso il primo romanzo, che è stato pubblicato.
Oggi più o meno regolarmente mi si chiede quale sia la mia opera d’arte preferita. È una domanda impossibile per la quale ho una risposta. Le cose belle sono contagiose. Qualcuno vede una bella scena e gli viene voglia di dipingerla; un altro vede il dipinto e qualcosa lo spinge a fotografarlo; un altro ancora vede la foto e ispirato dalla foto compone una musica; e c’è chi ascoltando quella musica non resiste all’impulso di ballare; e chi, preso dalla voglia di ballare con una persona sconosciuta, se ne innamora… Per cose "belle" non intendo "piacevoli", ma cose in cui crediamo senza poterle fare del tutto nostre. Il potere dell’arte dipende dall’incompletezza del possesso. Un romanzo, un dipinto, una musica o una danza che si offrano pienamente alla nostracomprensione – o che ci diano l’impressione di farlo – sono un fallimento, se non altro perché escludono il senza senso. L’arte è tale quando ci sfugge. Di più: quando ci induce a credere che esista un qualche significato da afferrare. Artisti di ogni genere tendono a nascondersi dietro l’opacità, ma imperscrutabile non equivale a profondo.
Il significato di Vita? o Teatro? non appare mai steso sul foglio, bensì rivelato, come se i pennelli di Charlotte Salomon fossero delle pale. Le pagine chiedono di essere comprese, pur sottraendosi alla comprensione. Eppure continuiamo a credere nel significato recondito dell’opera. Questo è il motivo per cui Vita? o Teatro? è così emozionante, spaesante e commovente: perché ha indubbiamente un senso, solo non per noi. Ed ecco perché, ancor più degli elogi, Vita? o Teatro? esige creatività. Le cose belle sono contagiose e nessuna opera d’arte mi ha incitato a fare arte più di Vita? o Teatro?. Non c’è opera che più di questa mi ricordi per che cosa vale la pena lottare.
(Pubblicato per la prima volta in Charlotte Salomon Through the Eyesof Jonathan Safran Foer, Bernice Eisenstein & Ernst van Alphen. Traduzione di Roberta Arrigoni)