Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  dicembre 04 Mercoledì calendario

Giorgia Meloni ha sempre ragione

Giorgia Meloni ha sempre ragione. Questo è il suo pregio e questa è la sua condanna: nella patria del trasformismo e della memoria corta o selettiva, le sue ragioni sono in bella vista sotto gli occhi di tutti, rese più credibili dalla banale constatazione che Giorgia siede ai banchi dell’opposizione insieme con il suo partito, i Fratelli d’Italia, da quando il Pdl implose sulle spalle del governo Berlusconi per colpa delle ambizioni sordide di Gianfranco Fini (era la fine del 2011). Ex ministro della Repubblica, oggi, a distanza di quasi dieci anni, la Meloni sorride davanti ai suoi sondaggi a doppia cifra torreggiando al centro della scena pubblica con la forza della coerenza. Una fedeltà ai princìpi che si può riscontrare giorno dopo giorno sui temi più urgenti dell’agenda politica. Da ultimo c’è la riforma dell’ex Fondo salva Stati, noto come Meccanismo europeo di stabilità (Mes): un prodotto d’ingegneria finanziaria rigorista che penalizza l’Italia sin da quando fu concepito all’epoca del governo tecnico presieduto da Mario Monti. Ebbene Giorgia adesso può denunciare la natura del Fondo salva banche (banche tedesche, annichilite dalla prospettiva Brexit) poiché sin dal 2012, quando votò contro la dittatura commissaria tecnocratica, si rifiutò di sostenere in Parlamento la delega per convalidare il mandato politico europeo sul Fondo. In altre parole, la giovane destra post finiana ha piantato da lungo tempo le proprie radici nella terra dell’interesse nazionale e da lì non si è mai spostata di un millimetro. Di qui le battaglie solitarie condotte negli ultimi anni in difesa del ceto medio produttivo che costituisce l’ossatura economica e sociale dell’Italia e il blocco maggioritario della nazione. 
NO AI GLOBALISTI
Basti pensare all’opposizione militarizzata al reddito di cittadinanza concepito in fretta e furia dal governo gialloverde; o alla resistenza attiva nei confronti delle invasioni di campo e delle inadempienze da parte dell’establishment euroburocratico sui temi finanziari così come su quelli migratori. La protezione delle frontiere (blocco navale) e dei portafogli dei cittadini italiani (no al Mes, sì alla flat tax, ma graduale e sui redditi incrementali); la proposta di leggi favorevoli al rilancio della natalità e al rafforzamento della famiglia naturale; l’insistenza sulla necessità di ripensare in chiave strategica le alleanze restando nel perimetro di una destra-centro contrapposta agli interessi globalisti e sovietizzanti coltivati nel laboratorio di Palazzo allestito dai gialloverdi (con il beneplacito dei nemici d’ogni sovranismo); la tenace volontà di riformare il sistema di governo in senso presidenziale: sta qui il combustibile della grande e crescente popolarità di Giorgia Meloni, alla quale anche i più affilati avversari devono riconoscere una sincerità genuina e disarmante. Pur essendo lei uno dei bersagli preferiti da quei militanti dell’odio internettiano avvolti dalla squallida indulgenza dei sedicenti censori progressisti dell’hate speech sempre a caccia di mostri fascistoidi. Ma la coerenza di Giorgia, si diceva, non è un fatto recente: viene da lontano ed era già ben visibile assai prima dello sconcerto con il quale lei aveva accolto nel 2018 la scappatella di Matteo Salvini con Luigi Di Maio, da cui ancora derivano le zone d’ombra fra le quali Giuseppe Conte e il leader leghista hanno ambientato il loro recente duello parlamentare. 

L’INCIUCIO
Prima delle ultime elezioni politiche, infatti, fu proprio la Meloni a denunciare l’accordo parlamentare fra Lega, Forza Italia e Pd che avrebbe prodotto il nefasto Rosatellum: «Ci propongono una democrazia finta. Con Salvini ci ha contraddistinto sempre la battaglia contro i governi inciucio e invece ora... Inciucio o caos», profetizzò lei. Scontata perciò, all’indomani del voto, l’indisponibilità della giovane Cassandra di destra ad assecondare un accordo inesorabile ma innaturale che avrebbe finito per coprire le sconclusionate velleità dei Cinque stelle. A posteriori, aveva ragione lei e in questo momento è giusto che si goda gli effetti della sua capacità di comprensione del reale e di mettersi in sintonia con gli italiani. Stando alle rilevazioni demoscopiche, infatti, Giorgia è il leader politico più popolare dopo Conte, che però beneficia del palco di Palazzo Chigi e non rileva. Interpellata da Nicola Porro, che l’ha intervistata l’altra sera su Rete4, sul motivo fondamentale di tale gradimento, lei ha dato la risposta più nitida e autentica: «Il rifiuto di qualsiasi scorciatoia facile: non voglio rimangiarmi niente di quel che ho promesso, voglio un voto ponderato, il voto di chi dice “ci ho pensato bene prima”». Un consenso di testa e non di viscere, figlio legittimo di una monogamia politica per la quale su questo giornale l’abbiamo volentieri onorata del paragone con la sentinella di Pompei che, malgrado il tragico terremoto vulcanico, resta al proprio posto di guardia. E da quel posto bisogna ripartire.