il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2019
Angelino Alfano vuole il vitalizio
Sarà pure vero che non ha il quid, ma non ne molla una. Angelino Alfano, l’ex ministro della Giustizia, degli Esteri e dell’Interno, ma soprattutto delfino mancato di Silvio Berlusconi, colleziona incarichi a tutto spiano ora che è uscito dall’agone politico.
Ma non è soddisfatto: vorrebbe pure godere del vitalizio per i 20 anni che ha dedicato alla Patria come parlamentare. E per questo ha chiesto di poter godere fin da subito dall’assegno di circa 5.300 euro lordi al mese pur non avendo neppure lontanamente i requisiti minimi previsti dal regolamento della Camera. A cui Alfano ha fatto causa nonostante non sia esattamente costretto a tirare la cinghia: nel giro di un paio d’anni si è rimesso su piazza alla grande, prima nello studio legale Bonelli Erede che lo ha reclutato come Of counsel “dopo un’importante carriera accademica e istituzionale”. Poi a luglio ha fatto bingo, con la nomina a presidente del gigante della sanità privata del Gruppo San Donato. Ma evidentemente non gli basta.
A lui e ad altri tre ex deputati che, pur non rieletti nella legislatura in corso non se la passano certo male, come nel caso di Andrea Martella del Pd, che ha perso il seggio, ma nel frattanto è stato promosso sottosegretario per l’editoria nel nuovo governo giallorosso.
E così Angelino, Martella, l’altro inossidabile parlamentare dem Andrea Rigoni insieme all’altro Alfano (il dc Gioacchino, già sottosegretario alla Difesa) hanno contestato la legittimità costituzionale delle regole attualmente vigenti a Montecitorio per ottenere anzitempo l’agognato assegno. La cui immediata erogazione, secondo loro, si porrebbe “in stretta correlazione con la necessità di indennizzare il deputato per i minori ricavi che lo stesso sarà in grado di realizzare una volta tornato alla vita normale dopo tanti anni di servizio prestati presso il Parlamento a beneficio della collettività”. Ma la Camera è stata sorda a questo alto richiamo.
E infatti per ben due volte in cinque mesi in primo grado e poi in appello gli organi di giustizia interna di Montecitorio hanno stabilito che non c’è trippa per gatti: per incassare il vitalizio i magnifici quattro dovranno aspettare di aver compiuto almeno 60 anni. Nessuno sconticino, come speravano, pretendendo di goderne da subito o a brevissimo. Specie l’ex ministro Alfano, il più giovane dei ricorrenti, che voleva passare all’incasso già a 49 anni. Con quel motivazione? Ci aveva fatto affidamento. E questo nonostante fosse stato eletto per la prima volta alla Camera nel 2001 quando era già in vigore da quel dì il Regolamento per gli assegni vitalizi dei deputati che nel 1997 aveva disposto il differimento dell’età pensionabile a 60/65 anni, rispetto a quanto avveniva prima.
Alfano invece avrebbe voluto che gli si applicassero le norme precedenti, ben più munifiche. Come la disciplina del 1968 che per gli ex deputati in possesso di almeno vent’anni (o quattro legislature) di contribuzione, consentiva di erogare l’assegno a prescindere dall’età anagrafica. O anche il regolamento del 1994 che fissava l’età di godimento a 60 anni, ma poi prevedeva pure la possibilità di erogarlo a 50 anni scalando dal conto un anno di contribuzione eccedente il quinto anno di mandato parlamentare. Ma poi la musica è cambiata, anche se c’è ancora chi, come Alfano, non si rassegna e prova a sostenere di aver subito un torto. Il nuovo regime dei vitalizi non lede né il principio di uguaglianza, né tanto meno quello di ragionevolezza perché, come si legge nella sentenza della Camera di metà novembre, le nuove regole si sono limitate a innalzare “l’età minima per il conseguimento del trattamento previdenziale, in modo peraltro non dissimile da quanto avvenuto nel sistema pensionistico generale, dove i requisiti contributivi e anagrafici minimi rimanevano comunque più elevati”.