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 2019  dicembre 04 Mercoledì calendario

Biografia di Francesco Caio, negoziatore per l’Ilva

Con Francesco Caio, il Governo gioca una carta pesante per tre ragioni. La carta pesante è prima di tutto quella di un manager di estrazione internazionale che, qualora tutta la vicenda implodesse, potrebbe trasformarsi rapidamente in commissario straordinario da capodelegazione nella trattativa con ArcelorMittal (oggi al Mise ci sarà un incontro fra Amministrazione Straordinaria e ArcelorMittal, poi si terrà un secondo incontro anche con i sindacati). In secondo luogo perché esiste un filo rosso che già unisce Caio alla attuale amministrazione straordinaria: i suoi uomini – nel senso di ex-collaboratori di Poste Italiane – sono già dentro alla partita. In terzo luogo perché Caio, classe 1957, ha lavorato – dopo la laurea in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano – in McKinsey fra il 1986 e il 1991. Ed è proprio la McKinsey, nella seconda metà degli anni Ottanta, ad aiutare Giovanni Gambardella, il dominus della siderurgia italiana di matrice Iri, a rimodulare i piani industriali dell’acciaio nazionale, nell’estremo tentativo di trovare un equilibrio fra una Bagnoli che, al netto del problema dell’inquinamento, aveva nei conti sempre perso a bocca di barile e una Taranto che aveva sempre guadagnato, nonostante i problemi ambientali già allora intuiti e la rigidità di economie di scala ottimizzate soltanto al di sopra di 8 milioni di tonnellate di produzione all’anno. Procediamo dunque a ritroso, per capire perché la scelta di Caio (oggi presidente Saipem) rappresenta – in una vicenda che ha visto il Governo compiere non poche scelte inspiegabili – una decisione con più di un punto di razionalità. Caio ha, appunto, un curriculum segnato dall’ingresso nel 1991 in Olivetti e, fra il 1993 e il 1996, dalla guida operativa di Omnitel, il primo operatore italiano di telefonia mobile. Nei cinque anni precedenti, Caio è stato in McKinsey, una delle principali scuole manageriali degli anni Ottanta, in quel momento guidata – con passione quasi “didattica” e “pedagogica” nei confronti dei più giovani – dal responsabile dell’Italia Rolando Polli. Nel 1987 Gambardella, all’apice del suo potere e della sua forza in Ansaldo, viene chiamato da Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, a ristrutturare tutto l’acciaio. Gli uomini di McKinsey – con un turnover di “junior”, fra cui i protagonisti del tempo ricordano pure un giovane Caio – provano a portare razionalità in un aggregato che, di razionalità, ne aveva ben poca. I ragazzi di McKinsey, allora, aiutarono Gambardella nella definizione di quali rami secchi della Finsider andassero tagliati e quali andassero conservati.
È il passaggio storico in cui, al tema della chimera della redditività della siderurgia, si accompagna anche il problema della sovraccapacità produttiva europea e della ricerca di un punto di equilibrio fra realismi nazionali e pulsioni comunitarie alla tutela della concorrenza: è del 1989 la decisione di chiudere la Italsider di Bagnoli e di continuare, invece, a puntare su Taranto, con un processo di riposizionamento che poi, all’interno delle più generali privatizzazioni, avrebbe portato nel 1995 alla cessione dell’Italsider ormai rinominata Ilva alla famiglia Riva. Peraltro, il braccio destro di Gambardella, Piero Nardi, sarebbe stato chiamato da Caio – amministratore delegato per una breve stagione di tutto il Gruppo Olivetti – nel settembre del 1996 come direttore generale a Ivrea, dove sarebbe rimasto pochi giorni. 
Ma, al di là di queste suggestioni, appare chiaro che Caio costituisce una forma di autotutela, un progetto e un messaggio di sostanza. Un messaggio ad ArcelorMittal che si trova davanti ad un manager di standing internazionale: fra le varie posizioni, ha guidato Cable & Wireless, è stato presidente di Lehman Brothers Europe, è stato alla testa di Avio, è presidente di Saipem. Una forma di autotutela perché, dopo tanti pressapochismi, ad esprimere le posizioni del Governo c’è appunto una persona strutturata. Un progetto perché, qualora ArcelorMittal decidesse di lasciare il Paese, non bisognerebbe impiegare chissà quanto tempo a trovare un commissario straordinario operativo, sulla scorta di quanto fatto all’Ilva da Enrico Bondi. Un commissario straordinario che, in seno all’amministrazione straordinaria, troverebbe due manager provenienti da Poste Italiane, di cui Caio è stato amministratore delegato dal 2014 al 2017: Claudio Sforza, ex responsabile della finanza in Poste, che nella amministrazione straordinaria è una sorta di direttore generale della parte non tecnica, bensì amministrativa e manageriale, e Claudio Picucci, oggi capo del personale, ruolo che ricopriva anche in Poste. Il nome di Francesco Caio, dunque, per una volta fa sembrare la scelta del Governo come un progetto e non come qualcosa di casuale nella migliore delle ipotesi e come qualcosa di frutto di inconsapevolezza e di equilibrismi politici nel peggiore dei casi.