La Stampa, 4 dicembre 2019
Social network contro bollicine
Facebook contro il Moët & Chandon: i social network e le bollicine sono il nuovo fronte della guerra commerciale tra Europa e America. La risposta di Trump alla decisione di Macron di imporre una "web tax" che penalizzerà i giganti di Internet Usa è stata prevedibile.
La minaccia di tariffe del 100% su una miriade di beni francesi tra cui, ovviamente, lo champagne, le borse di Louis Vuitton e il gruviera.
L’occhio per occhio, dente per dente predicato da Washington non si ferma a Parigi. Gli Stati Uniti, convinti che gli invidiosi europei vogliano distruggere il sogno americano della tecnologia, hanno promesso di investigare tasse-web in Italia, Austria e Turchia.
A vincere, per il momento, sono solo il protezionismo, l’unilateralismo e l’ostinazione di politici più o meno populisti. Ma la strada è lunga e una soluzione si troverà, come ha ammesso lo stesso Trump ieri pomeriggio.
Al momento, Europa e America sono legate da ipocrisia, malafede e ottusità.
Incominciamo dalle parti nostre. Nonostante le proteste di Bruno Le Maire, ministro delle Finanze di Parigi, non c’è dubbio che la web tax sia mirata a colpire le multinazionali americani della tecnologia.
Le regole sono che il Tesoro francese si prenderà il 3 per cento delle entrate di società che hanno almeno 750 milioni di euro in fatturato mondiale di cui almeno 25 milioni in Francia. Guarda caso, la lista dei nuovi contribuenti è dominata da società americane, tanto che in Francia il dazio è soprannominato "tassa Gafa"(Gogle, Apple, Facebook e Amazon).
I francesi, veri professionisti del protezionismo, hanno arbitrariamente escluso dalla tassa chi vende abbonamenti sul web (così Le Monde e compagnia non cadono nella rete). E, stranamente, Parigi non dimostra lo stesso entusiasmo fiscale per nuove regole internazionali che permetterebbero a Paesi come la Cina di tassare i produttori di beni di lusso. Per quel che riguarda gli Usa, l’unica cosa positiva è che, per la prima volta da quando è presidente, non è stato Trump a causare una guerra commerciale (a differenza delle baruffe con Cina e mezza America Latina).
Per il resto, la posizione dei giganti del web è indifendibile. I Gafa guadagnano miliardi di dollari grazie ai consumatori europei ma pagano pochissime tasse perché sono furbi e hanno dei bravi contabili.
Basta "spostare" i domicili fiscali in Paesi indulgenti come l’Irlanda e il Lussemburgo e, come per magia, le tasse calano. Secondo la Commissione europea, le multinazionali di Internet pagano una tassa media del 9.5%, mentre le società "normali" sborsano quasi il 24%.
E poi c’è il retroscena: Trump fa la voce grossa adesso ma il suo ministro del Tesoro, Steven Mnuchin, aveva già raggiunto un accordo di massima con Parigi mesi fa. Il governo francese avrebbe rimborsato le società Usa quando l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico promulgherà nuove regole sulla tassazione delle multinazionali – nel caso le tasse dell’Ocse fossero più basse di quelle transalpine.
Retorica a parte, il problema è serio: nell’economia moderna, un sistema fiscale basato sull’indirizzo del quartiere generale non ha più molto senso, soprattutto quando si tratta di servizi virtuali e di ricavi transazionali.
E’ per questo che, dietro ai palcoscenici politici, gli esperti sembrano sicuri che l’Europa e gli Usa troveranno un compromesso – probabilmente una tregua fino a quando l’Ocse escogiterà una soluzione accettabile sia ai governi sia ai padroni di Internet.
Nel frattempo, però, gli amanti americani dello champagne un paio di casse di Moët se le dovrebbero comprare. Quando i populisti giocano col commercio mondiale, non si sa mai.