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 2019  dicembre 04 Mercoledì calendario

Cos’è successo davvero in Iran

Per cinque giorni, dal 15 novembre, l’Iran è stato scosso dalle proteste più violente negli ultimi quarant’anni. Gli iraniani si sono svegliati scoprendo l’aumento del prezzo della benzina del 50% per i primi 60 litri, del 300% per ogni litro in più: una miccia in un clima di sofferenza per la disoccupazione, l’inflazione, le sanzioni americane, la rabbia per la corruzione dell’élite. «Se i prezzi aumentano, i poveri diventano più poveri» era uno degli slogan del primo giorno, quando gli iraniani hanno protestato lasciando le auto in mezzo alla strada, ma nella notte di sabato le manifestazioni hanno cambiato natura: slogan anti-regime, attacchi a banche, edifici governativi. 
Domenica Internet è stato bloccato, isolando quasi del tutto l’Iran dal mondo per cinque giorni: un fatto senza precedenti. Solo da poco sono emersi video e testimonianze. E solo ieri le autorità hanno riconosciuto che le forze di sicurezza hanno sparato e ucciso: dicono che i «rivoltosi» erano armati; e che poi la violenza ha causato la morte di passanti, forze dell’ordine e manifestanti pacifici, senza assegnare colpe. 
Leila Wasiqi, governatrice di Qods, una contea di Teheran, ha raccontato che una folla di gente furiosa ha abbattuto il cancello ed è entrata nel palazzo del governo al grido «Sparateci se potete». «Sì, ho ordinato di sparare se entravano». Altri nel governo hanno spiegato che è stata fraintesa (voleva dire «bloccare», non «sparare»). 
Manca ancora un bilancio ufficiale. Secondo Amnesty International i morti sono almeno 208 in 10 province, spesso con colpi di pistola alla testa o al petto. Iran Human Rights ha raccolto i nomi di 230 vittime, potrebbero arrivare a 400. Ne circolano 800-900 e molti sono falsi secondo il portavoce Mahmood Amiry-Moghaddam: «Fake news diffuse per screditare i casi veri» (Trump non si preoccupa: i morti sono «migliaia», dice). «Bugie» sia i numeri che i nomi, replica il portavoce della magistratura Gholamhossein Esmaili. «Includono persone in vita o morte per cause naturali». E gli arrestati (7.000 secondo un deputato)? Sarebbero stati quasi tutti rilasciati, dice Esmaili: a Teheran ne restano 300, verranno liberati una volta individuati i sabotatori. Ma gli arresti continuano: per esempio il 28 novembre la nota femminista e fotografa Raha Askarizadeh è stata fermata in aeroporto. 
L’Iran ha già vissuto proteste (nel 2009, nel 2017-18) ma mai così violente. Il ministero dell’Interno afferma che almeno 200 mila rivoltosi hanno incendiato oltre 700 banche, centinaia di auto e moto e 140 proprietà private. Testimoni oculari parlano di gang che marciavano a volto coperto, «sembravano professionisti». Il governo addita Usa, Arabia Saudita e gruppi di opposizione all’estero. Il capo dei Pasdaran ha detto ad un comizio di migliaia di sostenitori che gli Usa hanno appoggiato le proteste attraverso «mercenari locali».  
Le dichiarazioni del segretario di Stato Usa Mike Pompeo (vanta di aver ricevuto 20 mila video dai manifestanti) e le passate affermazioni dei sauditi («Porteremo la battaglia all’interno dell’Iran») nutrono la tesi delle interferenze straniere. I colleghi del Financial Times a Teheran spiegano che gli iraniani sono divisi: c’è chi crede che forze straniere abbiano guidato le proteste e chi ritiene che i Pasdaran hanno fatto degenerare le proteste per poterle poi reprimere (circolano anche filmati di agenti in uniforme che danneggiano auto e case). Il governo ammette anche l’intervento dei Pasdaran nella città di Mahshahr, zona ricca di petrolio con popolazione araba. Ma mentre il New York Times ha scritto che 40-100 manifestanti sono stati uccisi a colpi di mitragliatrice in un campo di canne da zucchero, il governo sostiene che erano separatisti armati. Khamenei ha detto mercoledì che il complotto è stato sconfitto. Resta però il grande malessere degli iraniani.