La Stampa, 4 dicembre 2019
Intervista a Sofia Goggia
Sofia Goggia riparte da casa Vonn. Dal lussuoso chalet a Copper Mountain dove la stella azzurra è andata a ispirarsi all’inizio della nuova stagione. Un rituale da emozioni intense tra le mensole piene di coppe da ammirare in religioso silenzio e ricordi di una vita sportiva trionfale. Un omaggio alla ex rivale, la bionda americana che non troverà più sulle piste ma che resta una grande amica. Comincia così l’anno della maturità per la capitana delle italiane, pronta a scalare il trono dello sci.
Sofia, ci racconti del pomeriggio con Lindsey.
«Le ho espresso come sempre il mio rispetto. In quei giorni poi è uscito il documentario girato sulla sua ultima stagione: lei resta una leggenda. L’ho ringraziata per l’eredità che ci ha lasciato, per come ha vissuto questo sport con una dedizione totale. Ed è incredibile il fatto che a otto anni avesse scritto nel compito in classe "voglio diventare la sciatrice più forte di sempre" e ci sia riuscita. Casa sua è davvero uno spettacolo, un museo dei trionfi. Dove noi abbiamo i libri, lei mette i trofei. Io di coppe ne ho vinta una sola e passo ore a contemplarla! Però posso consolarmi pensando al fatto di averla battuta ai Giochi in Corea e in Coppa del mondo. Un onore».
Dal video della Vonn emerge il conflitto interiore che ha caratterizzato la sua vita da stella. E lei come affronta questo mondo?
«Lindsey ha lottato tanto contro il dolore e quando dice "ci provo e vado in Svezia ai Mondiali" e poi lì vince la medaglia, capisci la sua grandezza. Dalla storia emerge anche la solitudine di noi sciatori, sempre in giro divisi tra pista e albergo. Passi dal traguardo, dove sei acclamata da tutti, all’hotel dove rientri stanca e stremata e ti ritrovi ad essere sola. La gente vede i campioni solo quando alzano le coppe, ma non conosce la fatica che c’è dietro ogni medaglia».
Sofia, lei sente la solitudine?
«Dipende dai momenti. Ogni mostro sacro dello sport deve convivere con i propri demoni interiori e se diventi un mostro sacro è chiaro che devi pagarne un prezzo. Lindsey ha avuto una vita travagliata anche per i conflitti con il padre, per sei anni non si sono parlati. Ho avuto l’impressione che lei abbia sempre cercato rifugio in altre persone. Ognuno di noi deve trovare un equilibrio. Non è facile. Io adesso l’ho trovato, sto bene».
La chiave del percorso?
«La consapevolezza. L’ho cercata e trovata. Come? In mille modi, dal contatto con la natura che mi regala pace alla lettura e alle riflessioni. Cerco di entrare in empatia con le persone senza però legarmi a loro. Sono concentrata sul mio percorso. Per arrivare a questo punto ho sconvolto la mia routine cercando sicurezza in me stessa. Appoggiarsi ad altri è rischioso, se quella persona cade, crolli anche tu. Invece, la forza che trovi dentro te stessa non ti lascerà più. Sono cresciuta, è un processo naturale come persona e come atleta».
Uno slogan per la "nuova" Goggia?
«Il confronto è sempre con me stessa, non con le rivali. Anche se ho vinto l’oro alle Olimpiadi non cambio, sono la Sofia di sempre. E non mi creo aspettative, le giornate migliori sono quelle in cui non ti aspetti nulla».
Torniamo allo sci. Soddisfatta del gigante?
«Sì. Proprio il mio nuovo atteggiamento mi ha aiutata. Arrivata negli Stati Uniti ero tesa, troppo. Poi mi sono detta "Sofi calma, è solo una gara. La neve poverina non sa neppure che c’è una gara contro il cronometro. Rilassati". Il clic mi ha permesso di svoltare. Ecco, sdrammatizzo, è il mio segreto e la mia arma vincente. Così al cancelletto ho focalizzato me stessa e scalato la classifica fino al 11° posto partendo con il pettorale 54. Applico la teoria della relatività».
Che sensazioni ha per le gare di velocità al via venerdì con la discesa?
«Con la vittoria in gigante Bassino ha chiamato e Goggia risponde. Se metti tre cavalli da corsa insieme (la terza è Brignone) nessuno vuole stare dietro. Ho studiato le linee, poi preparo la tattica con coach Rulfi e il mio skiman. Sono pronta».