ItaliaOggi, 3 dicembre 2019
Periscopio
Ogni giorno tra i mondezzai linguistici, poveri lezzicografi. Dino Basili. Uffa news.Ormai tutte le colpe sono di Di Maio, il capro o meglio la capra espiatoria. Paolo Becchi. Libero.
Arturo Sosa Abascal, preposito generale della Compagnia di Gesù, nega che il diavolo esista: «Non è una persona, è una maniera di attuare il male». Papa Francesco in Gaudete et exsultate: ««Il Maligno» indica un essere personale che ci tormenta. Non pensiamo che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea». Essendo entrambi gesuiti, perché non si mettono d’accordo? Stefano Lorenzetto. Arbiter.
Un personaggio grillino, diciamo strano, è Lorenzo Fioramonti, neoministro dell’Università, cinquestelle pure lui. In due mesi, ha già pontificato contro il crocifisso a scuola e a favore dello sciopero studentesco gretino. La sua caratteristica è un linguaggio da caserma che stride con il ruolo di responsabile dell’Educazione. Le intemperanze, è vero, sono di qualche anno fa, ma si intuisce che l’uomo è quello. A dargli l’orticaria sono i destri. «Straripa di chirurgia plastica», ha detto, fotografandola, di Daniela Santanché. Poi ha aggiunto, da autentico villano: «Sputa caz..te, è raccapricciante, disgustosa. Le sputerei in faccia contro gli zigomi rifatti». Ha, insomma, i tratti dello stalker. Un’altra volta ha detto: «Sorrido ripensando a Renato Brunetta protetto dai carabinieri mentre i manifestanti lo insultano… quella è una bella Italia». Di Silvio Berlusconi, spremute a fondo le meningi, ha espresso questo meditato giudizio: «Porta sfiga». Ora, uno così, è infrequentabile. Allora, perché debbo ritrovarmelo ministro della scuola, – come Benedetto Croce e Giovanni Gentile o Giovanni Spadolini e Tullio De Mauro – col terrore che mi rovini figli e nipoti? Giancarlo Perna. LaVerità.
Ero amico di Vittorio Foa, Riccardo Lombardi,Ugo La Malfa e Lelio Basso. Anzi, con i primi due, elaborai un progetto di legge per nazionalizzare, non tutte le aziende elettriche (come è avvenuto poi con l’Enel ) ma solo la distribuzione dell’energia. Se si fosse approvato quel progetto non si sarebbe creato il carrozzone Enel. Il progetto venne ripreso, anche se in forme diverse, molti anni dopo. Franco Ferrarotti, sociologo 93 anni (Aldo Forbice). LaVerità.
Sono stato il primo portavoce in Italia di un politico, Amintore Fanfani. Avevo conosciuto Ettore Bernabei al Giornale del Mattino di Firenze. Un giorno mi disse che Fanfani cercava un giornalista. Mi presentai a casa sua e misi in chiaro che non ero democristiano. Mi disse: «Le ho chiesto di diventare mio collaboratore, non di rivelarmi le sue idee politiche». Sergio Lepri, per 30 anni direttore de l’Ansa, ha cent’anni (Concetto Vecchio), il venerdì..
L’acqua tumultuosa che irrompe a Venezia, in via Garibaldi, sembra un fiume nell’impeto di una piena rabbiosa. Le onde gonfiate da uno scirocco a cento all’ora sul Canal Grande sbattono come fuscelli le barche contro le rive. Piazza San Marco nella notte, sommersa e deserta in una luce livida, pare morta, mentre suonano angosciose le sirene, annunciando l’imminente picco di marea. Un disastro come nel 1966, dicono quelli che c’erano. Ma non c’erano, nel ’66, gli smartphone e il web, a mostrarci, quasi fossimo lì anche noi, Venezia invasa e sopraffatta. Marina Corradi. Avvenire.
Titolai il mio libro Dame, droga e Galline perché volevo alludere a Gramsci quando definisce Carolina Invernizio un’onesta gallina della letteratura italiana. Ho l’impressione che fosse qualcosa di più e che meritasse un giudizio critico meno impietoso. In fondo, se è vero che è esistito il romanzo borghese, nondimeno ha svolto una grande funzione quello popolare. I primi pulp fiction li abbiamo lì, nel feuilleton, come nella versione rosa e di avventura o nelle tinte fosche di una Cieca di Sorrento o di una Sepolta viva. Dopotutto Emma Bovary, una delle eroine mirabili del romanzo borghese, alimentava le fantasie e i sogni con le letture più dozzinali. Antonia Arslan, autrice di La masseria delle allodole (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Nell’estate del ’68 non ci fermammo. Io frequentavo la Alba di sinistra, Carlin Petrini era già il nostro guru, per me è stato un maestro di lotta politica. Eppure non ho mai smesso di andare in parrocchia. Ricordo il prete, don Valentino Vaccaneo, uno che quando mi presentai da lui per dirgli una cosa tipo «basta con le preghiere, ho scoperto Il Capitale di Marx e ora non sono mica così sicuro che Dio esista», mi diede una pacca sulla spalla, non si scompose e rispose: «Va bene Oscar, ma nel dubbio per favore continua a comportarti bene». Oscar Farinetti, industriale della ristorazione (Roberta Scorranese). Corsera.
Io sono una natura eccessiva. E questo è un messaggio che voglio dare a tanti: le sostanze (le droghe, ndr) possono abbagliarti ma sono il peggiore amico che puoi avere, perché ti allontanano da tutto. Con loro ho combattuto battaglie terribili, e ho ottenuto la più grande vittoria della mia vita. Lapo Elkann, imprenditore (Paola Pollo). Corsera.
Erano gli anni della Beat Generation. Allora ero balbuziente e ho passato l’adolescenza a leggere. Sulla strada fu una folgorazione, a cominciare dalla prefazione di Fernanda Pivano. Saputo che era scesa all’hotel Hassler, andai con Zaccagnini a conoscerla. Ci vestimmo da «on the road», quasi da zingari, con gilet e tutto: non ci fecero entrare. «Ma noi abbiamo un appuntamento con la signora Pivano!». «Eccola». La donna che aveva scoperto la Beat Generation era una sciura con caschetto, tailleur, borsetta Gucci e filo di perle. Diventammo molto amici. Suo marito Ettore Sottsass invece era un po’ ispido. Roberto D’Agostino, direttore di Dagospia (Aldo Cazzullo). Corsera.
Imparammo ben presto a leggere i giornali, durante il fascismo; i brani che esaltano la insonne fatica del duce si saltano a piè pari e si buttano gli occhi sugli annunci economici del Messaggero e del Corriere che parlano di vendite di appartamenti di gran lusso con «zoccoletti di marmo in tutte le camere». Franco Monicelli, Il tempo dei buoni amici. Bompiani, 1975.
Arrivi a Milano pensando che sia una tappa di passaggio. Poi il lavoro ti trattiene e quando capisci il ritmo, scopri una realtà diversa. Anche i clienti sono diversi: l’italiano è aperto, entusiasta delle tue soluzioni. Il tedesco è rigido, con la faccia immobile. Quando gli presenti il progetto sembra senza emozioni. Catharina Lorenz e Steffen Kaz, designer tedeschi da 32 anni a Milano. (Stefano Landi). Corsera.
Il futuro è il presente che ha fretta. Roberto Gervaso. Il Giornale.