ItaliaOggi, 3 dicembre 2019
Milo Manara, il più famoso dei disegnatori erotici, si fa chiamare fumettaro, non artista. Intervista
Se i buoni cristiani fossero tutti generosi come l’ateo Milo Manara, battezzato Maurilio, le angustie economiche della Chiesa si dissolverebbero in un baleno. Solo per fermarsi alla diocesi di Verona, il più celebre disegnatore erotico ha eseguito per le Sorelle della Misericordia il ritratto della loro fondatrice, suor Vincenza Maria Poloni, in occasione della cerimonia di beatificazione presieduta da Benedetto XVI. Prim’ancora aveva tracciato il bozzetto del bassorilievo per la canonizzazione di san Gaspare Bertoni, istitutore degli stimmatini, e aveva donato alle suore orsoline molti suoi disegni per abbellire la scuola materna che gestivano a Sant’Ambrogio di Valpolicella, preparando a ogni Natale anche i personaggi del presepio allestito nella piazza del paese. Non contento, ogni anno crea l’etichetta del vin santo imbottigliato dalla parrocchia di Negrar, che lo vende per devolvere il ricavato in beneficenza. Il tutto senza mai farsi pagare.È come se il patrono di Verona Infedele, defunto foglio satirico che con toni dissacranti rifaceva il verso al settimanale diocesano, volesse inconsciamente espiare con la sua prodigalità gli scandali che hanno turbato tanti cattolici: «La Chiesa è molto più pragmatica di quanto non lasci trasparire. I papi non davano forse lavoro a Michelangelo e Raffaello, non proprio due stinchi di santi? Io mi accontento di monache, preti e frati». La sua ultima opera a sfondo religioso è stata la Madonna Assunta sul Drappellone per il Palio di Siena dello scorso 16 agosto. Il Cencio, come viene chiamato, va in premio alla contrada vincitrice. Quando è stato svelato, la folla ha tributato all’artista tre minuti di applausi.
Trovo Manara, 74 anni, quarto di sei fratelli nato a Luson (Bolzano) ma sempre vissuto nel Veronese, curvo su una decina di tavole che deve consegnare entro pochi giorni a Christie’s. Andranno all’asta a Parigi: «Sono curioso di vedere le quotazioni di partenza». Soggetti femminili maliziosamente discinti, manco a dirlo. Varie misure (fino a 80 centimetri per 60) e varie tecniche: acquerelli per il colore, inchiostro di china per il bianco e nero, «marca Pelikan Fount India, ormai lo trovo solo nella capitale francese».
Per rispettare gli impegni, lavora fino alle 4 del mattino, poi va a letto. D’inverno vive nella sua casa a 200 metri da piazza Erbe. D’estate si trasferisce nella villa che domina Sant’Ambrogio di Valpolicella, dove spesso fu ospite l’amico Federico Fellini: «La prima volta che ci venne, scorse nel buio la chiesa di San Giorgio Ingannapoltron circondata dalle lucine delle abitazioni. “Guarda che costellazione!”, esclamò. Possedeva un terzo occhio. Era un bimbo che scopriva il mondo. Parlava del presente come se lo stesse ricordando. Nei suoi film tutto doveva essere ricostruito in studio, compresi i mobili, rivisti con gli occhi dell’infanzia e quindi in misure fuori scala».
Per far contento Fellini lei cambiò persino automobile.
Avevo una Maserati Biturbo a due porte. Quando andavo a prendere in stazione lui e Giulietta Masina, la moglie faceva molta fatica ad accedere al divano posteriore. Così comprai una Mercedes 4 Matic.
Si ricorda il suo primo disegno?
In prima elementare raffigurai il bue e l’asino nel presepio.
Prometteva bene.
Mia madre Caterina, detta Rina, era una maestra all’antica. Insegnava nelle scuole elementari di Bardolino. Abitavamo nel municipio, di fianco alla chiesa, perché mio padre Gino era segretario comunale e aveva diritto all’alloggio di servizio. In casa nostra non sono mai entrati i fumetti, a parte Il Vittorioso, il settimanale dell’Azione cattolica, sul quale m’innamorai di Franco Caprioli, autore di Dakota Jim, il «cowboy verde».
Le sue mani sono sempre assicurate per 5 milioni con Cattolica?
Penso di sì. Non mi occupo di questioni amministrative.
Se i 5 milioni di islamici residenti in Italia si faranno un loro partito, la metteranno fuori legge.
È probabile. Spero solo che non mi mettano fuori combattimento. Benché siano grandi consumatori di pornografia su Internet, l’erotismo è assai poco compatibile con la loro cultura. Ho rischiato il taglio delle mani nel 1980, mentre giravo fra Pakistan e Nepal in camper. Ero sotto contratto con Playmen e dovevo spedire per corriere le tavole di una delle mie storie a più alto tasso erotico, da cui poi fu tratto il film Déclic con Florence Guérin. Ogni volta avevo il terrore che i poliziotti aprissero il plico.
Ha l’aggravante d’aver disegnato per Charlie Hebdo, nella cui redazione i fondamentalisti uccisero il direttore e 11 collaboratori.
Fra i quali il mio caro amico Georges Wolinski, un erotomane pessimista, come lo definì Le Monde. Era stato spesso ospite da me in Valpolicella. Quando seppi dell’attentato, gli telefonai. Non rispose: era già morto. Ma ho disegnato di più su Charlie Mensuel. Per l’Hebdo mi pare d’aver fatto una sola tavola satirica.
Argomento?
Gli esperimenti nucleari del presidente Jacques Chirac nell’atollo di Mururoa.
Perché vuole essere chiamato fumettista anziché artista?
Per la verità a me piace essere chiamato fumettaro. Non bisogna confondere i fumetti con l’arte figurativa, nella quale è preminente il modo in cui si rappresentano le cose. Fra due Annunciazioni, quella del Beato Angelico e quella di Leonardo, c’è un abisso. Nel fumetto invece la priorità è volta a far capire al lettore che cosa sta succedendo.
Si vanta di dipingere per camionisti, carcerati e meccanici.
Per i meccanici di sicuro, visto che da dieci anni faccio il calendario della Texa, azienda che produce strumenti diagnostici e analizzatori per i gas di scarico. Ed è molto gradito, tanto che lo appendono nelle loro officine.
Chi ideò Verona Infedele?
Cesare Furnari.
Allora ce l’ho sulla coscienza: scoprii la sua vena giornalistica invitandolo a scrivere un articolo sulla raccomandata con cui l’Ulss invitava suo padre, morto da anni, a presentarsi per un controllo.
Era un bel tipo. Lo conoscevo da quando avevo 14 anni e frequentavo il liceo artistico, perché a mezzogiorno si andava a pranzare nella mensa degli Istituti civici Barbarani, dove Cesare era prefetto.
Quante copie vendevate?
Non l’ho mai saputo. Rientravamo dalle spese, questo è sicuro. Furnari, come direttore responsabile, era l’unico a ricevere un piccolo stipendio. Gli altri lavoravano gratis. Potevamo persino permetterci il lusso di rifiutare la pubblicità.
Tormentaste il vescovo Giuseppe Amari per una dozzina d’anni.
So solo che, dopo Il Vernacoliere di Livorno, eravamo diventati il periodico satirico più longevo d’Italia. Gli altri, come Il Male, chiudevano subito.
Durante il sequestro di Patrizia Tacchella arrivaste a effigiare monsignor Amari con le treccine e un peluche fra le mani, sotto il titolo «Prendete me».
Ma quello era un fotomontaggio in copertina. Io mi dedicavo all’ultima pagina. Durante la guerra del Golfo disegnai un Gesù Bambino visto di spalle, che se ne andava malinconico scortato dal bue e dall’asinello.
Ha la fissa del presepe.
Non lo inventò san Francesco, il più grande pacifista della storia? In quel periodo Emma Bonino, che si è sempre atteggiata a seguace di Gandhi, andava a Porta a porta per sostenere i bombardamenti in Iraq. Quella tavola innocente mi costò una reprimenda di don Bruno Fasani, a quel tempo direttore di Verona Fedele, che mi accusò di aver mostrato il Figlio di Dio fra un toro e un somaro. Eppure il bue era sprovvisto di genitali.
Provocazioni calcolate, confessi.
Non sono credente, ma vengo da una famiglia cattolica. Mi è rimasta dentro un’idea del peccato blandamente erotica. Solo uno Stato laico può garantire la libertà religiosa.
Frequenta alcuni parroci, però.
Il miglior complimento me lo ha fatto quello di Parabita, in Puglia: «Milo, tu per me sei come Discovery channel: mi fai vedere posti dove non potrò mai andare».
Con don Gianfranco Salamandra, che era parroco di Bure, e Tinto Brass fu protagonista di una serata all’Enoteca della Valpolicella di Fumane, a base di Amarone, cioccolato, whisky e sigari.
Whisky no, non mi pare.
Forse era rum. Un giornale di satira oggi avrebbe ancora senso?
Sì, se la realtà non avesse superato la fantasia. Quando un vicepremier (il riferimento è a Luigi Di Maio, ndr) dal balcone di Palazzo Chigi annuncia: «Abbiamo abolito la povertà», che cosa vuoi aggiungere?
Che bersagli sceglierebbe?
I potenti. Solo loro. I non potenti, stavo per dire impotenti, subiscono e basta.
Come mai nella satira si è sempre limitato a bersagli cittadini?
Qualche incursione a livello nazionale l’ho fatta. Nel 2011 sul Fatto Quotidiano raffigurai il defunto papa Wojtyla circondato da angeli di sesso femminile. Fui convocato persino dalla Digos a causa di un’interrogazione parlamentare.
Non mi risulta che se la sia mai presa con i leader politici.
Non è il mio lavoro. Però ho regalato una serie di caricature a un giornalino studentesco di Catania, mettendo alla berlina personaggi come Silvio Berlusconi e Mario Monti.
Se ci fosse ancora Verona Infedele, chi sbeffeggerebbe?
Ho perso qualsiasi interesse per la politica, in special modo per quella locale. È tutta una finzione. Oggi i grandi problemi sono globali e i governi nazionali non li possono risolvere. Servirebbe una politica continentale, come quella di Stati Uniti, Cina e Russia. Ma l’Europa non ce l’ha.
Voleva come premier una donna.
Non ci sono in giro neanche gli uomini, mi pare.
Da quanti anni è sposato?
Nel 2020 saranno 50. E sempre con la stessa moglie, Luisa Fedrigoli. La conobbi perché veniva a frequentare una scuola d’arte aperta a tutti, dove insegnavo la domenica. Abbiamo due figli ormai oltre i 40, che ci hanno resi nonni di quattro nipoti, due ciascuno, fra i 21 e i 16 anni.
I nipoti leggono i suoi fumetti?
A me non li hanno mai chiesti. Il più grande, Pietro, è appassionato di manga giapponesi.
La fedeltà coniugale è un valore?
Se la pace è un bene, ha il valore di mantenerla fra le pareti domestiche. (Ride). Dal punto di vista teorico non credo nella monogamia.
Il sesso a che serve?
Alla prosecuzione della specie. È la stagione migliore della nostra vita. Tramontato il desiderio, comincia l’inverno. Oggi mi sento come Jack Nicholson: giocano a bowling sulla mia corsia e vedo i birilli cadere intorno a me. Se ne va Eros e subentra Thanatos.
Lei cominciò quando Internet non esisteva. Oggi il sesso è visto in tutte le salse persino dai bambini. Come mai le sue donnine suscitano ancora interesse?
Perché, finita la trasgressione, resta l’idea della seduzione. L’organo erotico più importante è il cervello. Il Web parla dalla vita in giù, io dal collo in su. L’aspetto atletico, circense, del sesso non m’interessa.
Ma ora che va di moda il gender, non si sente sorpassato? Presto le toccherà disegnare trans.
Io canto la seduzione femminile. Sono eterosessuale, per me funziona così. Non ho nulla contro l’omosessualità. Ma si tratta di un argomento che non m’interessa proprio.
Chi è la donna più bella che ha conosciuto in vita sua?
Oh, Signor! Devo per forza dire mia moglie. In subordine, Monica Bellucci, Kim Basinger e Carla Bruni, tutt’e tre conosciute di persona. La Bellucci è davvero stupenda. Siamo rimasti in contatto, ci scriviamo. Le ho regalato un ritratto per un suo libro fotografico edito a scopo benefico.
Che differenza c’è fra «più bella» e «più sexy»?
Tantissima. Grace Kelly era una delle donne più belle del mondo, ma io la ricordo come una statua perfetta, per niente sexy. Vuole mettere Kim Novak?
Credevo Brigitte Bardot.
La Bardot mi ha autorizzato a disegnare il modello per la sua statua collocata davanti al Musée de la gendarmerie et du cinéma di Saint-Tropez. Ci siamo sentiti spesso, a voce e per mail. Dovevamo incontrarci a una cena di gala la sera dell’inaugurazione. Aveva chiesto che non fossero presenti fotografi. Purtroppo al suo arrivo un tizio l’ha illuminata con il flash del telefonino. Lei ha fatto cenno all’autista di andarsene ed è sparita.
Da dove prende le mosse quando disegna i corpi femminili?
Sempre dal volto. Anzi, dagli occhi. Anzi, dai due cerchietti dell’iride. È da lì che capisci se una donna ti guarda con intenzione.
Ma la parte più sexy di un corpo femminile qual è?
Me lo chiese anche Enzo Biagi: «Il petto? Le gambe? La schiena?». E io gli risposi: be’, la schiena, in fondo, in fondo... Scoppiò a ridere.
L’insuccesso della serie televisiva Adrian l’ha amareggiata?
Mi è dispiaciuto che abbiano scritto che prendevo le distanze da Celentano. Non è mia abitudine abbandonare la nave che affonda.
Che cosa non ha funzionato nello spettacolo che si concluderà giovedì prossimo?
Non essendo il più brutto che ho visto in tv, penso che gli abbia nuociuto l’averlo caricato di un’attesa eccessiva. Troppi rulli di tamburi, troppi squilli di tromba. Si è ingenerata un’aspettativa già in partenza superiore a qualsiasi risultato. Ma i contenuti non sono male. Celentano ha creato un personaggio che si batte per la conservazione della bellezza in un’ottica religiosa. È un concetto sacrosanto, solidissimo, platonico – il bello inteso come buono – affrontato già da Fëdor Dostoevskij nell’Idiota, là dove scrive che solo la bellezza salverà il mondo.
Claudia Mori, moglie del Molleggiato, ha dichiarato alla Repubblica che lei aveva visto e approvato tutto di Adrian.
Io avevo predisposto alcuni disegni preparatori. Di ogni episodio ho visionato pochi minuti, diciamo mezz’oretta in tutto. Che ci sarebbe stato uno show prima del cartone, e che avrebbero affittato il teatro Camploy a Verona, l’ho saputo con due giorni di anticipo, e mi era sembrata un’idea geniale. Mi avevano anche preannunciato la partecipazione di personaggi come Checco Zalone e Lillo e Greg.
Che cosa la fa più ridere?
(Si ripete la domanda). Le cose più sciocche. Le barzellette quando sono raccontate bene. Stanlio e Ollio. Paolo Villaggio.
Piange mai?
Invecchiando, sono diventato più incline alla commozione. Nel presentare il Drappellone ai senesi avevo le lacrime agli occhi. Mi sono fatto forza solo perché dovevo parlare.