La Stampa, 3 dicembre 2019
Maria Callas raccontata attraverso le sue lettere
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Il 20 ottobre 1968, Jacqueline Kennedy, vedova del presidente John, assassinato a Dallas cinque anni prima, sposa nell’isola di Skorpios l’armatore greco Aristotele Onassis, fino all’anno prima compagno di Maria Callas. Nel suo incerto italiano, il soprano scrive all’amata insegnante Elvira de Hidalgo: «È crudele, ma pagheranno tutti e due, vedrai. La cosa peggiore è che non mi ha detto niente del suo matrimonio. Penso che aveva l’obbligo dopo nove anni presso d lui – almeno non apprenderlo dai giornali. Ma lo considero un matto e come tale lo liquido nella mia mente».
Pochi giorni dopo, il regista Luchino Visconti sente il bisogno di testimoniarle il suo affetto: «Credimi: nella vita (sempre più me ne convinco) la vera classe salta fuori nei momenti perigliosi. E tu, al solito, hai dimostrato a tutti, a quelli di quel mondo fatuo e arrivista, che cosa sia una donna di classe e un’artista di alto livello – morale ed estetico. Hai chiuso la bocca a tutti!». Poi, velenoso, le suggerisce di non accettare l’invito di Pier Paolo Pasolini ad essere protagonista del film Medea: «Darsi al cinema un po’ avanguardistico, alla Pasolini, un po’ come una Ira Fürstenberg o una detronizzata Soraya? Attenta, Maria. Riprendi a cantare. Ritorna al tuo pubblico che ti aspetta e non vuole essere deluso». Ma lei per prima sapeva che la voce era ormai logorata, la carriera finita.
Molti libri, alcuni definitivi per quanto riguarda la sua arte, sono stati dedicati alla Callas. Il regista Tom Volf, autore nel 2017 del fortunato documentario biografico Maria by Callas, ripropone ora, in forma scritta, la stessa prospettiva: far parlare lei di se stessa. Gran parte delle oltre 500 pagine di Io, Maria – in uscita oggi per Rizzoli, (€ 21) - è formata dalle sue lettere, comprese fra il 1946 – quando aveva 23 anni, era povera, sconosciuta, viveva in una famiglia problematica, ma sapeva di voler fare la cantante – e il 1977, l’anno della morte, in solitudine, a Parigi. Non è una pubblicazione scientifica: le fonti sono raramente indicate, non vengono segnalate le lettere inedite, i manoscritti originali non sono trascritti. Ma Volf non è un musicologo, né uno storico. E’ un uomo di spettacolo che si è innamorato della Callas. Da quel momento ha iniziato a cercare e raccogliere materiali: «È cominciato tutto una sera del gennaio 2013, a New York: quel giorno ho scoperto il belcanto. Joyce DiDonato cantava Maria Stuarda al Metropolitan nella messinscena di David McVicar (degno erede del tuo Visconti)».
L’amore fa commettere imprudenze: se la Callas fosse stata soltanto una belcantista, non parleremo ancora di lei. E credo che il regista d’opera scozzese McVicar sia il primo a non osare paragonarsi a Visconti.Ma Volf è ormai persuaso di avere con la Callas un dialogo diretto: «Sei stata accanto a me, onnipresente, anche nei momenti di incertezza e di fronte ai numerosi ostacoli: c’è sempre stato un segno, un piccolo miracolo che mi permetteva di continuare». Santa Maria? No, santa Musica, perché – come emerge anche dall’autografo qui pubblicato – la sola verità della sua esistenza è stata il canto. Il resto svanirà, è già svanito: i momenti più sinceri e felici, come l’inizio del rapporto con il marito Giovanni Battista Meneghini, e quelli più strascicati, come la relazione con il tenore Giuseppe Di Stefano.
Il pregio del libro sta nel corpo delle lettere, che seguono l’ordine cronologico.
L’ultima , senza data, è indirizzata dalla sua casa parigina di Avenue Georges-Mandel al coreografo Maurice Béjart; un appuntamento rinviato, il medico che le prescrive una settimana di riposo assoluto e un post-scriptum premonitore: « Dalla mia calligrafia può intuire quanto sia stanca». Il volume ripropone anche le cosiddette Memorie, nate dalle conversazioni con la giornalista Anita Pensotti per il settimanale Oggi nel 1957, e i Frammenti di memorie dettati nell’ultimo anno all’amico greco Stelios Galatopoulos, che sarà autore, nel 1998, di una importante biografia callasiana. Ambedue non imprescindibili. Infine, Una voce venuta da un altro secolo, il lungo contributo critico di Teodoro Celli, apparso in tre puntate nel 1958 ancora su Oggi: tempi favolosi quelli in cui i settimanali si occupavano seriamente di musica classica e lirica. Celli racconta l’eccezionale verità di quella voce: «Maria Callas ha ridato al nostro melodramma romantico le sue vere eroine; per ciò certe sue interpretazioni rimangono memorabili. Ed è questa la sua autentica gloria, che non potrà esserle tolta, e che è attestata da tante incisioni. Rimane da considerare in qual modo ella abbia adoperato il suo strumento vocale ai fini dell’espressione».
Nei prossimi giorni Tosca di Puccini – uno dei ruoli più connotanti dell’arte della Callas, documentato anche in una immortale registrazione video - inaugurerà la nuova stagione del Teatro la Scala. Ascolteremo come protagonista il miglior soprano di oggi, Anna Netrebko. Sarà un’occasione per applaudirla, e per ribadire che ogni confronto è impossibile.