Corriere della Sera, 3 dicembre 2019
Il Grande Fratello degli Ottomila
L’hanno battezzato il Grande Fratello degli Ottomila. In realtà è solo una camera ipobarica, dove si possono simulare le situazioni estreme dell’alpinismo himalayano. «Sono agli arresti domiciliari in alta quota a Bolzano» scherza Simone Moro, l’alpinista bergamasco che si è sottoposto insieme a Tamara Lunger, già sua compagna di scalate, a un singolare esperimento in vista della prossima impresa: la salita e la traversata in invernale del Gasherbrum I (8.068 metri) e del Gasherbrum II (8.035 metri). L’ascensione delle due cime riuscì nell’estate del 1984 a Reinhold Messner e Hans Kammerlander, ma da allora non è stata mai più ripetuta, malgrado reiterati tentativi.
Invece che fare scalate sulle cime più alte delle Alpi, per prepararsi al nuovo exploit in Karakorum, Simone e Tamara hanno deciso di ricorrere a un’avveniristica struttura tecnologica: la camera ipobarica TerraXcube di Eurac Research. Ubicata nel cuore del Noi Techpark, il polo tecnologico inaugurato un paio d’anni fa a Bolzano sull’area del più grande stabilimento per la produzione di alluminio in Italia, TerraXcube permette di raggiungere temperature tra i -40 e i +60°, mentre la pressione e la concentrazione d’ossigeno possono essere regolate per simulare gli 8.000 metri delle cime più alte del pianeta.
Lì dentro i due scalatori per un mese seguiranno sotto il controllo dei ricercatori un protocollo per l’allenamento all’altitudine, che solitamente viene effettuato una volta raggiunta la zona himalayana, con un lungo andirivieni tra il campo base e i campi più alti. La possibilità di riprodurre esattamente le stesse condizioni che la camera ipobarica offre permetterà di acquisire preziose informazioni sugli effetti dell’ipossia sul corpo umano, sia durante la preparazione della scalata, sia al ritorno, quando Simone e Tamara rientreranno nella camera ipobarica TerraXcube per nuovi controlli.
Non è la prima volta che in alpinismo viene effettuato un pre-acclimatamento. Lo praticano spesso le spedizioni commerciali che vendono gli Ottomila chiavi in mano. Riducendo i tempi di permanenza al campo base, i clienti che vi si sottopongono possono contare su uno sconto sulla tariffa. Naturalmente Simone Moro, un fuoriclasse dell’alpinismo himalayano nella sua stagione più dura – ha all’attivo quattro prime invernali di Ottomila – non deve dimostrare niente a nessuno. Eppure le polemiche intorno a questo inusuale metodo di allenamento si sono già accese e in effetti la questione è di grande interesse etico. Ogni mezzo artificiale con cui si tenti di modificare la prestazione di un atleta viene considerato doping e in Italia le camere ipobariche sono vietate in vista delle gare. Ma in alpinismo non c’è competizione, anche se una prima ascensione costituisce una vittoria per chi la porta a termine. Al massimo qualcuno potrebbe accusare Simone di barare con sé stesso. Va detto che l’esperimento della TerraXcube non coinvolge sostanze chimiche, perché si limita a ricreare situazioni naturali. Recentemente sarebbe stato avallato anche da un convegno dell’Uiaa, l’Unione internazionale delle associazioni alpinistiche. D’altronde in questo caso sia Simone, sia Tamara hanno precisato che si stanno rendendo disponibili a una ricerca scientifica, destinata ad allargare le nostre conoscenze sulla fisiologia umana.
Il famoso scalatore inglese Frederick Mummery voleva che l’alpinismo fosse praticato «by fair means», «con mezzi puliti». La formula si è riproposta ogni volta che la tecnologia ha offerto le sue facilitazioni: funivie, elicotteri, radio, corde fisse, per non parlare dell’impiego dei portatori. Cosa si accingono a fare i due alpinisti attualmente ospitati nella TerraXcube di Bolzano: un record alpinistico, una grande esplorazione, un’avventura personale? Alla fine solo loro potranno rispondere a questa domanda.