il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2019
London Bridge, il coraggio che a noi manca
Scrivevamo sul Fatto del 16 novembre (L’Isis è oramai un’epidemia mondiale): “Chi pensava che l’Isis fosse stato definitivamente debellato con la cancellazione del territorio dello Stato islamico a Raqqa e a Mosul grazie al coraggio dei peshmerga curdi, con l’aiuto però determinante dell’aviazione americana, si faceva delle pericolose illusioni”.
Purtroppo siamo stati facili profeti come ci dice l’attentato di Londra. È del tutto improbabile che in questo caso l’attentatore abbia agito in coordinazione con lo Stato islamico, ne ha subìto però le suggestioni. Dall’attacco alle Torri Gemelle il valore simbolico dell’atto, come osservò Jean Baudrillard, supera in potenza la realtà dell’atto stesso, si tratti di tremila morti come alle Torri o di tre come venerdì a Londra. Da allora nei Paesi occidentali, i cui abitanti erano abituati a ruminare una vita tranquilla, si vive in uno stato di perenne inquietudine (“qui chi non terrorizza, si ammala di terrore”). Significativo è l’obbiettivi scelto dal jihadista improvvisato: l’affollatissimo London Bridge nel giorno del Black Friday. È ovvio che gli attentatori scelgano i luoghi più affollati perché più facile è colpire. Ma non c’è solo questo. Gli jihadisti vogliono colpire la nostra way of life, il nostro consumismo, i nostri divertimenti, i nostri giorni di festa. Credo che nella mente dello jihadista solitario di cultura musulmana si agiti questo pensiero: per anni avete vissuto tranquillamente mentre ci bombardavate senza pietà facendo centinaia di migliaia di morti. Bene. Adesso la Festa è finita, al vostro terrore rispondiamo col terrore. Ma nel caso di London Bridge c’è anche un’importante e incoraggiante novità: i cittadini inglesi, invece di comportarsi come pecore e scappare, com’era avvenuto in tutte le altre occasioni simili, hanno aggredito e stoppato l’attentatore. È stato rincuorante vedere uno di questi passanti, uno qualunque, tenere in mano il coltello strappato all’attentatore prima di consegnarlo alla polizia. Un’azione che, se forse è troppo definire eroica, è troppo poco definire coraggiosa perché nessuno poteva sapere se la “cintura esplosiva” era falsa o invece autentica e in grado di far saltare in aria tutti quelli che stavano nelle vicinanze. Ma gli inglesi sono inglesi, un popolo a cui, nel bene e nel male, non è mai mancato il coraggio. È agli inglesi, più che agli americani o ai russi, che dobbiamo la sconfitta del nazismo.
A Dunkerque, in stato di grandissima difficoltà di fronte alla possente avanzata delle armate di Hitler, in quel momento più forti e più motivate, riuscirono a ritirarsi con ordine, senza panico. Sotto l’infuriare delle V2, il re Giorgio VI rimase ostentatamente a Buckingham Palace per dare un esempio ai suoi sudditi. E Winston Churchill quando divenne Primo ministro all’inizio della guerra chiudeva il proprio discorso, riprendendo quello di Catilina ai soldati prima della battaglia decisiva di Pistoia, così: “Vi prometto solo lacrime e sangue”. Questo è un popolo. Cerchiamo, almeno nella lotta senza quartiere col terrorismo internazionale, di prenderne esempio.