il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2019
Ritratto di Luciano Nobili
Al di là dei risvolti penali, su cui mi guardo bene dal pronunciarmi perché non spostano in alcun modo l’opinione che ho della più grande sciagura politica abbattutasi sul centrosinistra italiano, l’Open affaire ci insegna almeno una cosa: non dimenticare. Nello specifico, non dimenticare cosa ci fosse prima di Salvini. Chi si lamenta del Cazzaro Verde, e ovviamente fa benissimo, dovrebbe sempre rammentare bene il livello osceno e colpevole raggiunto dalla politica (e dal giornalismo) negli anni tremendi del renzismo. Anni di cui, ora, vediamo e viviamo i patetici colpi di coda.
È bastato scoperchiare le ambiguità – se non altro etiche – legate al concetto stesso di Fondazione, che par tramutarsi in “articolazione” partitica (il Fatto ne parla da anni), per risvegliare tutti i giannizzeri e le vedove scionche del renzismo, null’altro che impalpabili Galeazzi Ciano prima del Processo di Verona. In questo senso, entra dritto nella leggenda il Luciano Nobili che ha sciabordato da par suo venerdì scorso a L’aria che tira. Momento televisivo lisergico, appena sotto Giordano e quel che resta del postumo in vita Sgarbi, capaci (?) di salire sul ring (??) con tanto di accappatoio da pugile e musica di Rocky (una prece). Di Nobili, turborenziano di terza fila, ho già parlato una volta. Mi perdonerete se non ne traccerò una seconda volta la biografia: quando mi trovo costretto a parlare dell’evanescenza, non so mai concedere il bis. La voce stessa di Nobili, su Wikipedia, risolta malinconicamente vuota: e già questo dice tutto (cioè niente). Nobili ha occupato lo studio di La7 come Bondi soleva assaltare il Santoro che fu per difendere Berlusconi. Alla sua destra sedeva Emiliano Fittipaldi, che provava a raccontare lo scoop dell’Espresso sulla villa di Renzi. Nobili è parso subito in grande spolvero. Guance rubizze d’ordinanza, quasi che fosse ogni volta reduce da uno jodel selvaggio dopo aver bevuto sedici damigiane di grappa. Volto assai pasciuto, come se l’opulenza adiposa fosse la sua risposta alla recessione incombente. E poi dei sontuosi capelli rigogliosamente unticci, chiaro omaggio al grande cantore contemporaneo Giuseppe Cruciani. È bastato un lapsus di Fittipaldi, di cui peraltro il cronista si è subito scusato, per far scattare l’intemerata del Nobilone nostro: “Hai detto che Renzi si è fatto finanziare il mutuo? Ricominciamo con le bugie? Diciamolo tutti insieme: è una vergognosa bugia! Fittipaldi ha detto una bugia in diretta. Chiediamo scusa?”. Fittipaldi aveva già chiesto scusa dodici volte, ma lui niente. Un fiume in piena. O se preferite un otre che esplode.
“Chi risarcisce Matteo Renzi? Questa è l’esperienza politica più trasparente e pulita della storia della Repubblica italiana!” (ahahahahahahah). “Chi risarcisce Matteo Renzi delle menzogne che anche adesso sono state ripetute? Ma capite che stiamo subendo un’aggressione inaccettabile? Fate populismo informativo, a scapito di una esperienza politica che evidentemente è scomoda!”. Come no: la famosa scomodità di Italia Viva e il famoso giornalismo anti-renziano. Certo. E magari Genny Migliore è Bakunin. Facci sognare ancora, Nobilone nostro! “Avete fatto dieci grafiche. Neanche per ricostruire i movimenti di denaro di Al Capone si fa una roba del genere”. Renzi come Al Capone. E già che ci siamo Giachetti e Ascani come Mork & Mindy. Nobilone nostro era così incontenibile che non ha fatto parlare nessuno. Neanche il direttore di Libero, Pietro Senaldi. E questo, va detto, resterà verosimilmente l’unico vanto politico di Luciano Nobili.