la Repubblica, 2 dicembre 2019
Biografia di Irma Testa
Indiane, coreane, cinesi, francesi, italiane: il centro nazionale federale di Assisi è una sorta di torre di Babele. Tanti idiomi, la stessa luce negli occhi di tutte, un faro puntato sul centro di un ring dove dare la svolta alla propria vita. Irma picchia sodo sul sacco, e quando lo fa il volto tatuato sul suo braccio, la figura di una geisha, prende vita. «È una donna che mi affascina, mi piace la sua personalità. Solo in apparenza può sembrare debole, sottomessa all’uomo. In realtà è lei a scegliere, a finire per sottomettere».
Irma Testa è una delle gemme della boxe italiana che già punta alle Olimpiadi di Tokyo la prossima estate, e quel viso tatuato sembra andare di pari passo con il suo, tornato a sorridere con la medaglia d’oro agli Europei di Madrid di agosto. «ll sapore della vittoria è difficile da spiegare, come lo sono tutte le sensazioni interiori. Prendo ad esempio Federica Pellegrini, che stimo molto. Non smette di nuotare perché sa cosa si prova a vincere. La sconfitta invece agita nella mia mente il senso della paura, che non è certo quella di prendere pugni. La vera paura è perdere dopo tanti sacrifici. Odio la sconfitta, la considero umiliante». Non una frase teatrale, ma pura espressione di verità. Basta ricordare la smorfia di disperazione a Rio 2016 quando, prima donna italiana ai Giochi, fu eliminata dalla francese Mossely. «Dopo quell’esperienza ho vissuto sei mesi di ozio. Ferie da smaltire a volontà, niente palestra, sveglia tardi al mattino. Pensavo di avere chiuso con la boxe».
Poi il lento ritorno, la riconoscenza a un mondo a cui deve tantissimo. «Sono di Torre Annunziata, una zona difficile dove soprattutto nel passato la parola d’ordine era “meno Stato, più Camorra”. Inoltre, difficoltà nella difficoltà, il mio quartiere, la Provolera, dove una volta c’era una fabbrica di armi, è una zona ancora più disagiata. Palazzi che cadono a pezzi, famiglie costrette ad andarsene per problemi di inagibilità. Lì il confine con il male è sottile e il serio rischio di varcarlo è sempre dietro l’angolo...». Poi la boxe come ancora di salvezza. «Al pugilato devo tutto. Sono entrata per la prima volta in palestra grazie a mia sorella, avevo 12 anni. Un ambiente che mi è subito piaciuto più della scuola, dove invece andavo con disinteresse, per far piacere ai miei genitori. Papà fa il cameriere, mamma la cuoca». All’inizio il cammino è in salita («C’era tanto scetticismo su di me. Mi dicevano di andare a fare danza, di imparare a cucinare»), ma poi Irma diventa Butterfly: è il suo alias quando sale sul ring, è un altro tatuaggio – sulla pancia –, è il titolo di un docufilm sulla sua vita.
La svolta è l’incontro con un vecchio maestro: «Sono arrivata dove sono grazie a Lucio Zurlo. Anche adesso che ha 78 anni gira per le strade di Torre Annunziata e se vede un ragazzino con delle potenzialità lo porta in palestra. Per me resta un punto di riferimento, è una persona che ha sempre fatto del bene e viene rispettato da tutti in una zona dove il rispetto spesso si ottiene con la prepotenza». Anche per questa attenzione al sociale si è calata nel ruolo di ambasciatrice Laureus: «È una fondazione che conduce un programma a favore dei bambini con una infanzia difficile, li fa studiare». Non è l’unica carica fuori dal ring. È dei giorni scorsi la nomina nella commissione atleti dell’Aiba, la federazione dilettantistica mondiale: 103 votanti, lei tra i 6 eletti. La stabilità gliela ha data, come a molti altri sportivi, la Polizia di stato. Piedi per terra e poche ambizioni di professionismo, di luci della ribalta alla Katie Taylor, la campionessa mondiale irlandese che guadagna borse da fare invidia a parecchi maschietti: «Sto bene così, anche se poi nella vita mai dire mai. Magari mi offrono una serie di match a Las Vegas come a Guido Vianello (il peso massimo romano ingaggiato negli States che la scorsa notte ha vinto ancora per ko, ndr ) ed allora chissà, potrei farci un pensierino...».
Però il titolo a cui punta Irma è quello olimpico, non il mondiale. Una aspirazione che fa rima con ossessione: «Io la vittoria a Tokyo la sogno, ma riesco a farlo solo ad occhi aperti. Quando dormo più che altro ho degli incubi. Penso siano frutto dello stress, della pressione che sento per arrivare a questo appuntamento fondamentale della mia vita». Prima però ci sono le qualificazioni: «Stare in forma due mesi prima dei Giochi per riuscire ad arrivarci, poi bisogna mantenere alta la condizione. È veramente tosta. Conto su me stessa, sulla mia determinazione. Prima di salire sul ring mi carico con “Don’t stop me now” dei Queen, quel brano mi rappresenta...». Le frequentazioni di sempre («Resto saldamente ancorata alle vecchie amicizie, anche se sono spesso in giro»), una vita come tante («Un giorno mi piacerebbe avere dei figli»), l’aspirazione a una sana routine. Sono tutte cose destinate ad aspettare. Irma ha fretta, deve scendere alla prossima fermata: destinazione Tokyo.