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segue dalla prima pagina I noltre, la possibilità che si arrivi a una ristrutturazione del debito a seguito di una crisi esisterebbe anche senza Mes, come dimostra il caso della Grecia. Anzi, i fautori del Trattato sostengono che un’eventuale ristrutturazione sarebbe solo più ordinata. Il Mes infine interviene solo su richiesta di un Paese in stato di crisi.
Quindi, se i governi italiani perseguiranno politiche fiscali responsabili, il rischio di ristrutturazione del debito semplicemente non esiste.
Questione chiusa, dunque? No. Per capirlo serve rispondere a tre quesiti: che cosa cambia veramente col nuovo Trattato? Perché i governi europei lo hanno voluto cambiare proprio adesso? Che cosa è meglio per i detentori dei Btp?
Cosa cambia? Primo. La guida della gestione delle crisi passa dalla Commissione, istituzione politica fondata sul principio della rappresentatività di tutti i Paesi, e che quindi agisce sulla base del compromesso tra i diversi interessi nazionali, al Mes: un organismo tecnico, con potere decisionale autonomo e che risponde direttamente ai governi che lo hanno istituito. L’art. 13 prevede che il managing director del Mes, con il supporto del suo staff, valuti, negozi e proponga al suo board le condizioni a cui il Paese deve sottostare; per questo gli viene riconosciuta e garantita indipendenza e autonomia decisionale (premessa 7 e art. 7.4). La premessa 12A e l’art. 13.8 assegnano alla Commissione un ruolo di collaborazione e controllo del rispetto della legge. Alla Commissione spetta la valutazione della sostenibilità del debito, un concetto che ammette ampi margini di soggettività; mentre il Mes adotta il più stringente criterio della capacità di ripagare il suo prestito. In caso di valutazioni confliggenti, il Mes decide autonomamente in base ai propri criteri.
Per avere idea di cosa significhi spostare il baricentro dalla Commissione al Mes, basta guardare al suo attuale organigramma: managing director, Klaus Regling, tedesco, già ministero delle Finanze tedesco, e direttore Affari finanziari della Commissione; deputy e risk officer, Christophe Frankel, francese, già Credit Foncier e Cades (gestione debito pubblico); chief economist, Rolf Strauch, tedesco, già Bce e Bundesbank.
Secondo. Il Trattato specifica che il Mes interviene in due modi: i prestiti precauzionali, soggetti a condizionalità, ma che non comportano la possibilità della ristrutturazione del debito (art. 14); e quelli che invece la ammettono. L’Annex III dell’art. 14 definisce esattamente i criteri che devono essere soddisfatti affinché un Paese possa accedere ai prestiti precauzionali: oggi l’Italia non li soddisfa. Nel caso richiedessimo assistenza finanziaria al Mes, dunque, quest’ultimo dovrà valutare se la ristrutturazione del debito sia una condizione necessaria perché l’Italia ripaghi l’eventuale prestito.
Terzo, per facilitare le ristrutturazioni l’art. 12 prevede che dal 2022 i titoli di stato dell’eurozona contengano clausole di azione collettive che rendano vincolanti per tutti le ristrutturazioni approvate a maggioranza qualificata. Nel Trattato esistente ci vogliono due maggioranze (per singola emissione e per il totale del debito) e quorum più elevati.
Chiaramente le modifiche al Trattato aumentano la probabilità che, in caso l’Italia chieda assistenza al Mes, quest’ultimo ponga la ristrutturazione del debito tra le condizioni per erogare un prestito. In caso di crisi, pertanto (e solo in questo caso), le modifiche al Trattato costituiscono un maggior rischio per gli investitori, che si autoalimenta. Perché ora? Il testo del Trattato è stato licenziato nel giugno 2019. Ma la decisione su come modificarlo è dell’Euro Summit del dicembre 2018. La tempistica lascia pochi dubbi sul perché i governi europei abbiano deciso di cambiare un trattato vecchio di 5 anni proprio a fine 2018: in Italia era appena arrivato al potere un governo populista che finanzia l’aumento della spesa pubblica col deficit, rigetta la priorità della sostenibilità del debito e brandisce la minaccia dell’uscita dall’euro. Politiche queste che porterebbero dritti a una crisi del debito appena si chiudesse l’ombrello della Bce. È evidente che per cautelarsi contro questa evenienza i governi europei vogliano creare un cordone sanitario intorno all’Italia temendo che una crisi dei Btp metta a repentaglio la moneta unica.
Cosa conviene fare adesso?
Aderire al Trattato. Non farlo, o rinviarlo, sarebbe inutile perché il Mes è un accordo tra governi e quindi il Trattato può essere ratificato anche senza di noi.
E aumenterebbe solo i danni perché una vittoria della linea di Salvini e Di Maio rafforzerebbe i timori sulla pericolosità del nostro debito. Oggettivamente, il Trattato aumenta la probabilità che in caso di crisi futura ci venga richiesta una ristrutturazione del debito. Ma è chiaro che la responsabilità per tutto questo è il risultato dell’esperienza dei gialloverdi al governo e delle politiche propugnate ancora oggi dalla Lega e, a giorni alterni, dal M5S.
Servirà pure a Salvini per arrivare alle elezioni e a vincerle. Qualcuno gli spieghi che rischia di trovarsi a governare su un cumulo di macerie (sotto al quale ci saremo anche noi).