Giuseppe Timpone per www.investireoggi.it , 1 dicembre 2019
IL PRELIEVO FORZOSO DAI CONTI CORRENTI: SALVINI PUR DI FAR SECCO IL MES E DESTABILIZZARE CONTE HA AGITATO ANCHE LO SPAURACCHIO DEFINITIVO, OVVERO LA RIEDIZIONE DI QUEL LUGLIO 1992 QUANDO AMATO NOTTETEMPO SUCCHIÒ UNA PICCOLA PERCENTUALE DEI DEPOSITI - POTREBBE MAI SUCCEDERE DI NUOVO? PER IL GOVERNO È PROPAGANDA INSENSATA, MA IL TEMA PER IL NORD-EUROPA ESISTE: TRASFERIRE UNA FETTINA DELLA NOTEVOLE RICCHEZZA PRIVATA ITALIANA ALLO STATO, PRIMA DI CHIEDERE AIUTO AI PARTNER DELL’AREA -
Il governo Conte smentisce e taccia di propaganda insensata le ricostruzioni che arrivano dalle opposizioni e, in particolare, dalla Lega sulla natura della riforma del Fondo salva-stati e sul rischio che i risparmiatori italiani correrebbero di subire un secondo prelievo forzoso dai loro conti correnti dopo quello del luglio 1992.
La stessa Europa rassicura sulla non automatica previsione di una previa ristrutturazione del debito pubblico per il caso di richiesta di assistenza finanziaria al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), un’ipotesi che in Italia ha agitato gli animi persino del governatore Ignazio Visco e di economisti indubbiamente europeisti come Carlo Cottarelli, in quanto spalancherebbe la porta della speculazione finanziaria ai danni dei BTp.
Cosa c’entrano in questa storia i conti correnti? Formalmente, nulla. Nessuno a Bruxelles ha mai parlato ufficialmente di mettere le mani sui risparmi depositati presso le banche, se non a proposito del “bail-in” e limitatamente ai casi in cui si rendesse necessario il salvataggio statale di un istituto e le perdite minime dell’8% rispetto alla massa passiva non dovessero essere coperte da azioni e obbligazioni (subordinate e senior). In quei casi, verrebbero intaccate, almeno in teoria, le giacenze sopra i 100.000 euro.
Il “bail-in” con il prelievo forzoso non ci azzeccherebbe nulla, se non fosse che il secondo rischia di divenire la logica conseguenza di un criterio – il coinvolgimento nelle perdite degli “stakeholders” – entrato in vigore dal 2016 con la nuova disciplina sui salvataggi bancari in Europa. La Germania nota da molti anni come l’Italia sia un paese molto indebitato sul piano pubblico, ma al contempo molto ricco nel privato. La ricchezza delle famiglie si aggira sui 10.000 miliardi di euro, circa 5,5 volte il pil, mentre quella tedesca non va oltre le 2,5 volte il pil. Da qui, l’automatismo delineato da alcuni suoi economisti di punta, nonché consiglieri del governo federale: abbattere il debito pubblico italiano imponendo un taglio orizzontale alla ricchezza privata.
Prelievo forzoso dai conti correnti? Ora, poiché operativamente sarebbe molto complicato procedere all’espropriazione di immobili e assets illiquidi o non facilmente negoziabili e monetizzabili, la massa di ricchezza realmente aggredibile sarebbe quella liquida, cioè non investita in titoli o beni fisici.
I conti correnti e deposito farebbero al caso. In Italia, su di essi risultano accreditati oltre 1.500 miliardi di euro, qualcosa come oltre il 60% del debito pubblico. Ovviamente, non si tratterebbe di azzerarne i saldi, quanto di prelevarne una porzione per accelerare l’abbattimento dello stock passivo, magari affiancando l’intervento a una ristrutturazione dei titoli di stato, vale a dire allungandone le scadenze, tagliandone il valore nominale e le cedole o un mix di tutto ciò.
Sembra fanta-finanza, anche perché un’operazione simile avrebbe effetti catastrofici sulla fiducia dei mercati verso il nostro sistema impositivo, il quale diverrebbe retroattivo. Tuttavia, il precedente di 27 anni fa esiste e ci ricorda che quello che crediamo essere impensabile non lo è affatto, almeno non alle alte sfere delle istituzioni, dove non si ragiona granché per il sottile e si guarda con preoccupazione crescente alla percezione negativa riscossa dall’Italia all’estero per il suo alto debito pubblico.
La riforma del MES in corso di discussione non è altro che la dimostrazione palese di come i tedeschi e i loro alleati intendano affrontare ciò che per loro resta il nodo dei nodi nell’Eurozona: trasferire ricchezza dai privati allo stato in Italia, prima che il suo governo si trovi costretto a chiedere aiuto ai partner dell’area o a destabilizzarla per la crisi di fiducia che dovesse riesplodere ai danni dei BTp.
Nessun governo, di qualsiasi natura ideologica e appartenenza partitica, se la sentirebbe mai di attuare un provvedimento del genere, visto che il prelievo forzoso nel ’92 segnò nei fatti la fine della Prima Repubblica e dei partiti che la ressero per mezzo secolo. E per questo che a Bruxelles si guarda con favore a un eventuale, ennesimo governo tecnico, sganciato dal consenso popolare e sotto sotto sostenuto da una maggioranza parlamentare alla quale non verrebbero prospettate alternative praticabili indolori.
I nostri conti correnti non sono a rischio imminente, ma se qualcosa andasse storto, lo diverrebbero nel corso di una notte, come quella terribile estate di 27 anni fa.