La Lettura, 1 dicembre 2019
Intervista a Olga Tokarczuk
«Quand’ero bambina la personalità più importante per me era Maria Skłodowska, polacca, vincitrice di due Nobel. Sono cresciuta con la sua immagine in mente. Era così forte: dovette affermarsi all’inizio del Novecento, quando farsi strada per le donne non era affatto facile». Maria Skłodowska – menzionata con il suo cognome, non con quello da sposata – è Marie Curie, la scienziata che vinse, nel 1903 e nel 1911, per la Fisica e per la Chimica, il prestigioso riconoscimento. Adesso la ragazzina cresciuta con il suo mito in testa, Olga Tokarczuk, anche lei polacca, ha ottenuto per la Letteratura lo stesso premio. Proclamata lo scorso 10 ottobre – vincitrice per il 2018, quando il Nobel non fu assegnato a causa dello scandalo molestie che aveva travolto l’Accademia di Svezia. Una donna, impegnata lei stessa sul fronte femminista, dopo l’imbarazzo delle inchieste.
Olga Tokarczuk è sensibile anche ai temi ecologici e in passato ha fatto parte dello staff della rivista di sinistra «Krytyka Polityczna». La sera stessa del Nobel ha invitato i polacchi a votare «a favore della democrazia» (il riferimento era alle elezioni di tre giorni dopo, vinte poi dai nazionalisti). A fine ottobre, inoltre, la scrittrice ha annunciato la creazione a Breslavia, dove vive, di una fondazione per sostenere autori e traduttori: tra gli obiettivi la «riflessione sul ruolo della letteratura nella storia dei cambiamenti sociali». Nelle uscite pubbliche dopo il Premio, Tokarczuk ha però tenuto a separare l’impegno politico e civile, nel privato, dal ruolo pubblico di scrittrice. Già sul palco della Buchmesse di Francoforte, una settimana dopo il Nobel, non aveva voluto commentare la scelta dell’altro vincitore di quest’anno, Peter Handke. All’autore austriaco è andato il Nobel per il 2019, con una decisione che ha scatenato polemiche per le posizioni che l’autore espresse in difesa di Milosevic sulle guerre nella ex Jugoslavia.
Olga Tokarczuk, il 10 dicembre a Stoccolma lei riceverà con Handke la medaglia del Nobel. Sente la responsabilità del nuovo ruolo pubblico?
«C’è un grande interesse nei miei confronti. Non me l’aspettavo, non avevo neppure i vestiti per le occasioni ufficiali. Nel mio intervento alla Buchmesse, dopo la vittoria, si è parlato di un ruolo politico della letteratura. Come persona privata ho le mie posizioni, la politica mi interessa. Ma come scrittrice trovo che offra un modo sacrificante di comunicare, pieno di energia negativa. Nel mondo ci sono la natura, gli animali, l’arte, la danza...».
Nel suo libro «Guida il tuo carro sulle ossa dei morti» (Nottetempo, che sarà ripubblicato in primavera da Bompiani) lei affronta, tra gli altri, il tema della responsabilità umana nei confronti della natura. Per salvare il pianeta però è necessaria anche la politica...
«È vero, tanto più che viviamo una forte contraddizione: un gran numero di persone è ormai convinto che serva salvare il pianeta, ma poi beve ancora nei bicchieri di plastica o si sposta spesso in aereo. Personalmente però non voglio usare il linguaggio della politica, ma quello della scrittura perché è l’unico a darmi un vero potere di agire. I miei libri sono “politici” nel senso più ampio del termine. Non si può dire ad esempio che siano collegati alle elezioni in Polonia, piuttosto a temi come l’identità e cosa significhi in un mondo in movimento».
Cosa significa?
«In senso psicologico, l’identità è un “luogo” stabile dentro di noi, con cui ci relazioniamo. Nella storia, specie nel Novecento, era collegata con la nazionalità. Oggi, nel mondo globalizzato, è diverso. L’identità è fatta di più livelli: puoi essere donna, polacca, vegetariana... aspetti che si combinano come in un grappolo».
Eppure proprio attorno all’identità sorgono nuovi muri e conflitti...
«È così, ed ecco allora che, in questo contesto, può giocarsi il ruolo degli scrittori. La letteratura è un modo sofisticato di comunicare, consente l’empatia. Se leggi Anna Karenina puoi vestirne i panni. È miracoloso: un romanzo ti fa essere un altro, mostra che siamo simili, gli uni agli altri, a un livello profondo. È il compito della letteratura: connettere, mostrare cosa abbiamo in comune».
La Polonia fa parte del Gruppo di Visegrád, che non esprime solidarietà europea. Come spiega lo stato d’animo dei Paesi dell’Est?
«Forse nessuno ha la risposta. Io rispondo raccontando. Il mio I libri di Jacob, che in Italia arriverà nel 2021, è ambientato alla metà del XVIII secolo, ma descrive un modo simile all’oggi. Ci sono gli stessi problemi con gli stranieri ai confini dell’Europa, le minoranze».
Marie Curie è stata un modello. Olga Tokarczuk potrà ispirare altre ragazze?
«È bene che ogni storia femminile in cui si consegue un risultato positivo sia fatta conoscere alle bambine. Sono cresciuta nella Polonia comunista, ma in una fase di emancipazione femminile. Oggi sotto alcuni aspetti stiamo tornando indietro. In Polonia la legislazione sull’aborto, ad esempio, è molto restrittiva. Ed è doloroso il diffondersi di un’ideologia conservatrice sul ruolo sociale della donna. Per certi versi ero più libera io da giovane che le ragazze oggi in Polonia».
Il suo stile sfugge alle definizioni.
«Non solo, ogni libro è diverso dall’altro. Ho scritto un giallo, un romanzo storico, ho cercato di creare un genere che ho chiamato “romanzo costellazione” ne I vagabondi. Ogni testo è una sfida: cerco il nuovo nella forma e nel contenuto».
Ci sono scrittori che la ispirano?
«Sono da sempre una grande lettrice, interessata alle parole. Mi piace conversare, eventualmente litigare. Amo tanti scrittori... ho letto il polacco Stanisław Lem e l’americano Philip K. Dick, entrambi autori di fantascienza, e poi Bruno Schulz, Franz Kafka e Anton Cechov. Scrivere è il mio lavoro, ma anche il mio hobby e il mio grande piacere».
Secondo il suo agente sono arrivate richieste per i diritti dei suoi libri da almeno 50 Paesi. Ne uscirà uno nuovo?
«Probabilmente in Polonia alla metà del 2020. Ma non svelerò il tema, altrimenti perderei l’energia della scrittura».