La Lettura, 1 dicembre 2019
Bangkok è la città più visitata al mondo
Bangkok è ora la città più visitata al mondo. Lontani sono i giorni in cui il mondo faceva le valigie per Roma o Parigi, il cuore pulsante del turismo mondiale è ormai la capitale thailandese con la sua Khao San Road, una stradina lunga 400 metri affollata di venditori di strada e insegne al neon visitata ogni giorno da circa 50 mila turisti. Divenuta negli anni Ottanta la mecca del turismo zaino in spalla, Khao San è salita alla ribalta internazionale nel 2000 grazie alla passeggiata lisergica di uno spaesato Leonardo di Caprio nel film The Beach, tratto dal romanzo generazionale di Alex Garland (in Italia apparve nel 1997 con il titolo L’ultima spiaggia, Bompiani). Da allora, la stradina ha iniziato a ripulirsi per fare posto ai sempre più numerosi e benestanti viaggiatori internazionali che del turismo zaino in spalla apprezzano l’estetica e il sogno di fuga dalla quotidianità ma non l’odore, i servizi scadenti e le stanze fetide.
Sin dalla sua nascita, le sorti di Khao San sono state quelle del turismo in Thailandia e senza conoscere le une è impossibile comprendere le altre. Khao San Road fu costruita nel 1892 come centro per la lavorazione del riso, una delle prime strade di una capitale che muoveva i primi passi sulla terra dopo essere stata perlopiù una creatura acquatica. Per i successivi 90 anni poco cambiò in questo angolo della capitale del Siam all’ombra del palazzo reale: gli unici visitatori internazionali rimanevano compratori di riso, perlopiù cinesi, che qui caricavano tonnellate di riso provenienti delle pianure della Thailandia centrale per trasportarle, attraverso un canale che correva parallelo a Khao San, alla foce del fiume Chao Praya e da lì verso i più importanti porti commerciali d’Asia. Ma questa non era la sorte che il mondo aveva riservato a Khao San.
Le sorti di Khao San Road erano destinate a cambiare, influenzate da una nascente industria del turismo negli anni Sessanta, perlopiù fino ad allora legata all’afflusso di soldati americani in licenza dalla guerra in Vietnam.
Nel 1982, in occasione del bicentenario della fondazione di Bangkok, la Thailandia decise di promuovere la città come meta turistica. Bangkok fu invasa di turisti: i più abbienti trovarono posto nei lussuosi alberghi intorno al palazzo reale o nelle ultramoderne zone di Sukhumvit e Silom; i giovani fricchettoni – per cui la Thailandia era un Paese di collegamento tra l’India, dove andavano alla ricerca di «spiritualità», e l’Australia, dove era facile fare qualche soldo – rimasti senza stanze, cominciarono a chiedere agli abitanti delle zone limitrofe al palazzo reale se fossero disposti ad affittare le loro case.
I residenti di Khao San – come i vecchi del posto amano raccontare con malcelato orgoglio – capirono subito il potenziale economico di questi giovani dai capelli lunghi e la discutibile igiene personale. Ebbe così inizio la corsa al turista, una disciplina che in Italia conosciamo bene, ma che a Khao San prevedeva microstanze fatiscenti con ventilatori affaticati, donne in vestiti tradizionali con le quali farsi fotografare e donne senza vestiti con le quali trascorrere la notte, secchielli da mare riempiti di rum locale di bassa qualità e ogni tipo di oggetto contraffatto, dai sandali ai libri, dalle patenti ai testi di lingua, dai tesserini da giornalisti alle lauree in inesistenti università americane, il tutto per il prezzo di un caffè nei Paesi di origine dei giovani turisti (un capitolo a parte, poi, è il fenomeno criminale del turismo sessuale che coinvolge i minori, una piaga di questo e altri Paesi dell’area). Khao San divenne il luogo dove tutto era possibile e dove una giovane inglese poteva arrivare, dopo aver lasciato il suo ripetitivo lavoro, a vendere l’intero contenuto della sua valigia in un capanno a bordo strada e uscirne qualche ora dopo in infradito, pantaloni di lino scoloriti, borsa a tracolla e lunga chioma di dreadlock.
Anche questa fase di Khao San non durò a lungo e a metà degli anni 2000 la strada cominciò a trasformarsi di nuovo. Per prima cosa, giovani thailandesi senza possibilità di viaggiare presero a frequentare Khao San, eccitati come bambini allo zoo, felici di osservare da vicino le esotiche specie di umani che confluivano qui da tutto il mondo. Di lì a poco, lo stesso tipo di fenomeno prese piede tra i viaggiatori internazionali e Khao San è lentamente divenuta un’icona di sé stessa, un luogo in cui viaggiatori ben più esigenti dei loro predecessori possono vestirsi da turisti zaino in spalla ma godersi un buon caffè da Starbucks e una camera doppia con aria condizionata. In altre parole, Khao San ha cominciato a vendere un’immagine di sé stessa a un prezzo ben più elevato dell’originale e così facendo si è resa più appetibile alle orde di turisti di classe media di tutto il mondo, cavalcando il delicato equilibrio tra autenticità e confort che contraddistingue i loro viaggi.
Questa è la ricetta di Khao San e, in fondo, la ricetta del turismo a Bangkok: offrire il diverso senza l’attrito del contatto con l’altro.
Tuttavia questa non è l’ultima pagina della storia di Khao San e del turismo in Thailandia. Sin dalla salita al potere del dittatore militare Prayuth Chan-ocha nel 2014, infatti, attirare il turismo di classe media, sensibile al fascino delle spiagge e delle isole tropicali, è diventata una priorità di un’economia nazionale che stenta a tornare ai suoi livelli di crescita dei precedenti decenni (nota bene: anche la nuovissima classe media cinese è un entusiasta bersaglio della campagna di promozione).
Khao San è al momento di nuovo in construzione, all’interno un progetto da più di 1,6 milioni di dollari destinato a rendere la strada pedonale, riorganizzare i venditori di strada in strutture permanenti e proibire la vendita di materiale contraffatto. C’è da chiedersi se, tentando di eliminare ogni forma d’attrito, Bangkok non finisca per cancellare la diversità che l’ha resa la città più visitata al mondo.