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 2019  dicembre 01 Domenica calendario

Il turismo genealogico

«Come si chiamava il bisnonno?». Molte volte si comincia così, con una domanda casuale. La risposta si trova facilmente, basta telefonare ai nonni e chiedere. Molti però ci prendono gusto e presto si trovano alle prese con l’albero genealogico della propria famiglia. La rete aiuta, con siti come www.myheritage.it, www.familysearch.org e www.ancestry.it, oltre a numerose fonti consultabili on line (atti di nascita e morte, censimenti ecc.), ma la ricerca delle proprie radici si trasforma facilmente in un’inedita forma di viaggio: il turismo genealogico. 
In preda alla curiosità si torna nei luoghi della propria infanzia, ricercando parenti che non si vedevano magari da anni. Poi si interrogano gli anziani per raccogliere informazioni sulla propria famiglia. Ancora si consultano archivi comunali e parrocchiali, oppure si sfogliano i giornali nella biblioteca civica per trovare qualche notizia sulle vicende familiari. Spesso dopo qualche tempo si ricomincia da capo in un’altra città, risalendo nelle generazioni e seguendo a ritroso gli spostamenti dei propri consanguinei. 
Un antenato emigrato potrebbe spalancare all’improvviso spazi sconfinati alla vostra ricerca. Per esempio potreste trovarvi a Ellis Island, la piccola isola davanti al porto di New York dove tra il 1892 e il 1954 passarono oltre dodici milioni di immigrati negli Stati Uniti, all’ombra della vicina Statua della libertà: quasi la metà della popolazione americana ha un antenato registrato qui. La prima a varcare i cancelli di Ellis Island, all’inizio di gennaio del 1892, fu una ragazzina irlandese, Annie Moore, assai conosciuta nel suo Paese e celebrata con monumenti e canzoni. Gli archivi della piccola isola (disponibili anche in rete www.ellisisland.org) conservano i registri dei passeggeri dei grandi transatlantici che qui riversavano gli emigranti di terza classe. 
Non è un caso che si finisca per parlare degli Stati Uniti, il Paese dove ognuno in qualche misura è straniero e dove la passione per il turismo genealogico è in rapidissima crescita, specie tra le persone di mezza età (baby boomer), come ha mostrato una recente ricerca dell’Università dell’Illinois. 
Diverse destinazioni negli Stati Uniti si sono specializzate in quest’ambito, per esempio Fort Wayne, nello Stato dell’Indiana (oltre centomila visitatori all’anno per gli archivi del Centro di genealogia, lasciando dieci milioni di dollari all’economia locale), o Salt Lake City, Utah, dove i Mormoni hanno raccolto infinite informazioni nella loro Family History Library (millecinquecento visitatori al giorno). Anche l’Inghilterra vuole la sua parte e ha investito otto milioni di sterline nel moderno Cumbria Archive Centre, mentre un milione di persone ogni anno visita la Scozia alla ricerca dei propri antenati, generando settecentotrenta milioni di sterline per l’economia locale (Fonte: Visit Scotland).
Il turismo genealogico si può coltivare in qualunque stagione, richiede più tempo che denaro e una buona programmazione (almeno sei mesi prima della partenza). Se siete troppo impegnati, diverse aziende sono a vostra disposizione. Investendo cifre considerevoli, dopo mesi di ricerche da parte di un esperto è possibile farsi organizzare un viaggio su misura: un autista personale vi condurrà a una riunione di famiglia con parenti sconosciuti, raccontata poi in un documentario girato da un operatore al seguito. 
Affine al turismo genealogico è il turismo delle radici, ovvero quando gli emigrati o i loro discendenti si recano in vacanza nel luogo d’origine della famiglia. Ovviamente interessa molto a un Paese di emigranti come il nostro: i discendenti degli italiani nel mondo sono stimati tra i sessanta e gli ottanta milioni, un’altra Italia che vive all’estero e che rappresenta un enorme potenziale in termini di domanda turistica (Fonte: «Rapporto Italiani nel mondo 2019» della Fondazione Migrantes). Mancano ancora statistiche, studi, strategie, investimenti per attrarre questi turisti, ma qualcuno ha drizzato le antenne. La Calabria può essere un ottimo laboratorio per il turismo delle radici e due studiose, Sonia Ferrari e Tiziana Nicotera (Università della Calabria), hanno cominciato ad analizzare il fenomeno. In passato molti calabresi sono emigrati e anche oggi la fuga continua, specie dei giovani. Pochi i turisti, solo 2,2% del totale nazionale, fortemente concentrati nella stagione balneare, e tra loro pochi gli stranieri, 18,6% degli arrivi totali quando la media nazionale è del 49% (Fonte: ISTAT, anno 2018). Da qui l’idea di rivolgersi con proposte specifiche alle persone emigrate e ai loro discendenti (un buon esempio è il Piccolo festival delle Spartenze festivaldellespartenze.it), invitandoli a tornare per recuperare e rafforzare il senso di appartenenza e l’orgoglio identitario.
I primi esperimenti sembrano funzionare, a giudicare dai dati raccolti da Ferrari e Nicotera. In genere i turisti delle radici sono soddisfatti del proprio viaggio in Calabria per l’accoglienza ricevuta dai residenti, la cultura locale e il cibo (male invece i trasporti). Per tutti il viaggio è stato un’esperienza coinvolgente e indimenticabile: conoscere luoghi di cui si è sempre sentito parlare a casa, imparare la lingua, approfondire la conoscenza della cultura locale e fare ricerche sulla propria famiglia, incontrando i familiari che vivono ancora in Calabria. La maggior parte per ora proviene dalla Germania e molti diventano poi ambasciatori della regione, all’estero poco conosciuta. Certo c’è ancora molto da fare e per ora sono flussi modesti, ma è un buon inizio e ci sono ampi spazi di crescita, specie se anche qui si apriranno gli archivi a chi vuol fare ricerche sulla propria storia familiare. Mal che vada, torni con un cugino in più...