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 2019  dicembre 01 Domenica calendario

Vizi e opere di Monsieur Diderot

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Il pomeriggio dell’8 ottobre 1773, vigilia di Saint-Denis, Diderot raggiunge finalmente San Pietroburgo. L’avverbio cui siamo ricorsi, “finalmente”, sembra pleonastico, ma è indispensabile per capire lo stato d’animo del viaggiatore. Partito dall’Aia il 20 agosto, pur potendo servirsi della berlina del ciambellano Aleksej V. Naryškin, il filosofo è spossato come non mai. Sei settimane di percorso lo fanno sentire «più morto che vivo». Negli ultimi quattro giorni dell’infernale tragitto ha digiunato; anzi da Narva, Estonia nord-orientale, soffre di violente coliche. A Teilitz, prima di Riga, è assalito da incubi: sogna che sua figlia stia morendo di parto. E quando la berlina lo lascia presso i palazzi imperiali, nella Millionaia, alla casetta dello scultore Falconet che lo attende e dove desidererebbe «una tisana, un enteroclisma e un letto», crolla: la camera promessa nella lettera è occupata dal figlio dell’amico. Ma in Russia l’ospitalità fa miracoli, e alla sera Diderot è accolto a palazzo Naryshkin, magione di famiglia altolocata: la nonna Natal’ja Kirillovna, passata a miglior vita nel 1694 e moglie di Alessio I, fu madre di Pietro il Grande.
Diderot sarà ripagato dalla liberalità di Caterina II. La zarina gli assegna una ricca pensione, accogliendolo come un principe, concedendogli onori e gloria: seduzioni che la Francia, dove nel 1772 aveva sostanzialmente chiuso l’Encyclopédie rendendo mitico il suo nome accanto a quello di D’Alembert, ben si guardava dall’offrirgli. E quando rientrerà a Parigi si lamenterà di non aver più un’idea, di essere sempre stanco. Del resto, a otto anni il padre lo mise a studiare dai gesuiti, a dodici ebbe la tonsura e poi, rinunciando a questa educazione, pagò di persona tutte le sue scelte. Lo dimostra nel 1746, allorché fa uscire in edizione clandestina la prima opera originale, i Pensées philosophiques, condannata al fuoco, ristampata furbescamente con titoli diversi. In prigione ci finirà dopo la pubblicazione, nel 1749, della La Lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono. In essa il matematico Saunderson, che non ha mai osservato la luce, muore senza comprendere il sacerdote che gli parla di Dio. Diderot scrive drammi, romanzi, racconti, opere storiche, di fisiologia e anche altro. Nel Sogno di D’Alembert del 1769, anticipando Lamarck e Darwin, compendia la formula delle leggi dell’evoluzione: «Gli organi producono i bisogni, e, reciprocamente, i bisogni producono gli organi».
Impossibile elencare le sue opere o sintetizzarne lo spirito, tra i sommi del Settecento (che fu comunque un secolo di giganti). L’occasione per rileggere e ripensare il magnifico enciclopedista la offre una raccolta di opere con testo a fronte, a cura di Paolo Quintili e Valentina Sperotto, appena uscita ne Il Pensiero Occidentale di Bompiani, collana fondata da Giovanni Reale e poi diretta da Maria Bettetini, che questa impresa aveva seguito prima di lasciarci. È la più vasta e curata raccolta di opere di Diderot che sia apparsa in Italia. In essa, ad eccezione degli articoli dell’Encyclopédie, si trovano le sue opere principali, persino le due versioni del trattatello Sulle donne, gli Elementi di fisiologia, i Racconti del Ciclo di Langres e quelli di Parigi. Il libro colma una lacuna dell’editoria italiana. Accanto a esso vale a pena ricordare quanto Diderot scrisse all’amante Sophie Vollant: «Quasi sempre ciò che nuoce alla bellezza morale raddoppia la bellezza poetica. Con le virtù si fanno soltanto quadri tranquilli e freddi; sono la passione e il vizio quelli che animano le composizione del pittore, del poeta, del musicista».