Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2019
Africa, Alibaba apre l’offensiva digitale cinese
Jack Ma,il fondatore della holding cinese dell’e-commerce Alibaba,non aveva mai messo piede in Africa prima del 2017. A quanto pare,sembra intenzionato a recuperare il tempo perduto.
Il gigante asiatico dello shopping online, quotato a Wall Street e Hong Kong, sta intensificando la propria presenza sul continente con una serie di iniziative parallele per rinsaldarsi sul mercato. Nell’arco di due anni,la fondazione che porta il nome di Jack Ma ha lanciato un premio annuale che assegna borse da un milione di dollari ai progetti più interessanti (il cosiddetto Africa Netpreneur Prize Initiative) e siglato due memorandum of understanding con le autorità di Rwanda ed Etiopia.
In entrambi i casi l’accordo prevede la creazione di Electronic World Trade Platform: poli commerciali multifunzioni che cercano di «rimuovere le barriere al commercio globale per le piccole e medie imprese, attraverso lo sviluppo dell’e-commerce»,oltre a offrire corsi di formazione digitale a imprenditori e ricercatori residenti nei due Paesi. Ufficialmente il sogno di Jack Ma è allevare la filiera di start up e imprenditori africani, «esportando in Africa la lezione di Alibaba».È facile pensare, però, che non sia solo la filantropia ad alimentare questa improvvisa passione per il continente e l’evangelizzazione tecnologica dei suoi startupper.
Il mercato africano dell’e-commerce è ancora in fase embrionale, con un valore stimato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo a un giro d’affari di appena 5,7 miliardi di dollari nel 2017. Gli ingredienti per farlo esplodere, però, ci sono tutti.Il boom demografico raddoppierà entro il 2050 una popolazione già pari a 1,3 miliardi di persone, accompagnandosi a una maggiore diffusione di connettività e smartphone: la società di consulenza McKinsey stima un bacino di oltre 400 milioni di utenti connessi già oggi, mentre il mercato degli smartphone sta lievitando fino a proiezioni di 690 milioni di device attivi entro il 2025. Il Pil continentale cresce al ritmo del 3-4%, secondo dati del Fondo monetario internazionale, favorendo un aumento (relativo) di redditi e capacità di spesa.
A suggello,il settore del retail fisico è largamente sottosviluppato,spalancando frontiere di espansione alle piattaforme digitali che offrono un pacchetto unico, sia l’acquisto del prodotto che la consegna fisica. Secondo dati di Boston Consulting Group, una multinazionale della consulenza strategica, nel continente si registrano appena 15 negozi per milione di abitante, contro i 568 dell’Europa e i 930 degli Stati Uniti.Le mire espansionistiche di Alibaba, però, non si limitano alla vendita finale di prodotti intermediati dal suo sito omonimo Alibaba.com.
La penetrazione della holding passa per una strategia che ricalca quella dispiegata da altri investitori cinesi sul mercato africano: presenza diretta e,appunto, accordi congiunti come quelli siglati con le autorità del Rwanda e dell’Etiopia per una collaborazione reciproca. Il modello del «polo digitale» e della formazione su campo è una chiave di ingresso decisiva, anche per sviluppare un network di imprenditoria innovativa che guardi più alla Cina che all’altro modello inevitabile, la Silicon Valley statunitense. Peccato che il potenziale del commercio elettronico nel continente sia almeno pari alle disfunzioni che ritardano una crescita incisiva dello shopping online, fermo in diversi Paesi a un’incidenza inferiore all’uno per cento sul totale delle vendite al dettaglio.
L’handicap più grave resta quello delle infrastrutture, fisiche o digitali,in un continente dove le distanze medie tra una città e l’altra viaggiano abitualmente nell’ordine delle migliaia di chilometri. Sempre secondo Bcg, la logistica è talmente deficitaria che il tragitto fisico dalla fabbrica al consumatore comporta costi aggiuntivi pari al 320% del prodotto. La connettività si sta ampliando, ma ancora una quota ridotta di abitanti usa regolarmente il web. Senza dimenticare l’instabilità politica, l’assenza di quadri regolatori chiari in diversi Paesi e una diffidenza ancora diffusa per l’acquisto online.
È anche vero, però, che la strategia di Alibaba mira proprio a costruire connessioni dove oggi sono assenti, cavalcando le trasformazioni profonde della società africana. Jack Ma ha dichiarato che spera di vedere presto «100 Alibaba e 1000 imprenditori» come lui in pochi anni, alludendo forse all’altra occasione latente: l’ascesa vertiginosa di giovani africani. Le Nazioni unite registravano già nel 2015 un totale di 226 milioni di cittadini africani nella fascia tra i 15 e i 24 anni, una cifra pari allora al 20% della popolazione e destinata a raddoppiare entro il 2055.
Il ricambio tra generazioni si sta accompagnando a un balzo in avanti sulle tecnologie, a partire dal segmento che già domina la scena delle start up locali: il fintech, le tecnologie finanziarie, terreno privilegiato per le imprese digitali che nascono negli hub di Nigeria, Sudafrica e Kenya. Il caso di scuola è la piattaforma nigeriana di e-commerce Jumia, quotata a Wall Street e cresciuta fino a diventare la prima startup africana con una valutazione sopra il miliardo di dollari (poi sgonfiata da problemi di redditività che la incalzano tuttora). Sullo sfondo, la prospettiva è quella di un continente con una popolazione sempre più giovane, digitalizzata e abituata ai sistemi di e-payment, un ingranaggio fondamentale per sistemi di commercio elettronico. Quando succederà, Alibaba vuole essere lì.