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 2019  dicembre 01 Domenica calendario

Cercasi Rombo di buono

Maurizio Maggiani, sul penultimo Robinson, ci invita a ridare un senso alle parole. E porta esempi: la dignità è ridotta a decreto, la pace a condono fiscale, la vita al contrario di morte, l’onore al saluto fascista, mentre rivoluzione è parola-chiave del marketing di ogni genere di prodotto. «Imbonitori e truffatori ci hanno rubato il vero significato». Ha ragione Maggiani, si cambiano delle parole il significato, il peso, e un po’ alla volta si cambiano le idee, i concetti, i valori. C’è una parola che io vorrei cancellare: sdoganare. Mi sembra che si sdoganino solo schifezze. Ce n’è una che vorrei tornasse a respirare liberamente: buono, e buona, buoni, bontà. Certo, c’è il rischio di vedersi appiccicata l’etichetta di buonista, che suona derisoria e negativa, ma dipende da chi la usa, può anche essere un complimento. Quand’ero giovane si diceva: è un buon uomo, è una donna buona.
Buona donna, nel linguaggio comune è tutt’altro. Buon uomo è sinonimo di sempliciotto. Si usava anche bravo, non nel senso di abile, capace (mio figlio è bravo in matematica) ma di buono (il mio cane è bravo, non morde).
Bravo e buono equivalevano a non cattivo. Oggi, nel bene, si usa dire "bella persona", interiorizzando la bellezza, e nessuno s’è ancora scagliato contro il bellismo. Già c’è il bullismo che fa più danni. Ma buono sì, vorrei sentirlo circolare per le città e i paesi, e sui social sdoganatori (quando faremo i conti del pro e contro sarà troppo tardi). Vorrei buono in crescendo, impossibile da ignorare.
Rombo di Buono. Né Gianni Brera né Gigi Riva s’arrabbieranno, è per una buona causa.
A ngolo del lavoro arretrato.
In agosto, nella "palla di lardo", avevo scritto di due-tre cose di Sarri che non mi erano piaciute, ma che non mi sembrava opportuno dirgliele finché era a letto con la polmonite. Tramite Pazzo per Repubblica un lettore m’informa che Sarri è guarito da tempo, e allora? Allora, me ne ero dimenticato, ma si è sempre in tempo. Premessa: mi baso sul Sarri che ho conosciuto a Empoli, nel periodo napoletano non ho potuto parlargli e in quello inglese non avevo nulla da chiedergli. Prima cosa: il Sarri di Empoli non sarebbe andato con Paratici da CR7 durante le sue vacanze in Grecia.
Seconda: non avrebbe detto, dopo la sconfitta col Tottenham, che CR7 doveva sentirsi libero in campo e bisognava organizzare bene gli altri 10 per la fase difensiva.
Poteva pensarlo e può pensarlo ancora, ma non dirlo in conferenza-stampa. Terza: quando prima di Juve-Napoli la Juve annunciò che per motivi di sicurezza, d’accordo con la questura di Torino, non sarebbero stati venduti biglietti ai nati in Campania, e fu subito smentita dalla stessa questura, Sarri poteva dissociarsi anche con poche parole da un’iniziativa del club, assurda se non offensiva. Non lo ha fatto, e comunque il voto (arretrato, a sua volta) è 4.
A ngolo del libro sportivo. Per una strana coincidenza, nello stesso giorno mi sono arrivati "La carica dei 110" (ed. Minerva) e la telefonata di un collega di Bologna: «È morto il Civ».
Gianfranco Civolani, classe ’35, nel nostro zoo era un piccolo mito, uno senza peli sulla lingua e sulla penna. Penna graffiante, si diceva anni fa.
Graffiante e ambita, ma aveva sempre detto no grazie a tutte le testate che lo reclamavano a Milano, a Torino, troppo distanti dal Bologna e dalla Virtus. Mi par di sentirlo: «E poi ragazzi, poche pugnette, volete mettere cos’è aprire la finestra e ogni giorno vedere le Due Torri?». Il libro è un percorso della memoria basato su un impegno: i primi 110 giocatori del Bologna dal ’45 a oggi in ordine di merito. In copertina il Civ ha una sciarpa rossoblù al collo, tanto per chiarire, e sulla guancia una strisciata di rosso e blu. Solita aria fiera da vecchio capo indiano. Sono 110 microstorie piene di stile e di passione, e non è indispensabile essere tifosi del Bologna per apprezzarle. Al numero 110 Attilio Santarelli, buon portiere, nato a Faenza, al Bologna dal ’56 al ’62. Il Civ aveva scritto che il rossore sul viso del portiere era dovuto a troppe bevute di Sangiovese.
Santarelli non aveva gradito e lo aveva pregato di lasciar perdere. Ma il Civ neanche una piega, anzi insiste. E qui, trascrivo, "Santarelli a suo buon diritto mi fa: «E va bene, possiamo non parlarci mai più». Aveva ragione, non dovevo farlo. Ma avevo vent’anni, ero un gran coglione e magari lo sono ancora adesso". Chapeau.
A ngolo della poesia. "Paese mio" di Biagio Marin nel dialetto di Grado, pubblicata nel 1927. "Paese mio,/picolo nio e covo de corcali,/ pusào lisiero sora un dosso biondo,/per tu de canti ne faravo un mondo/ e mai no finiravo de cantàli./ Per tu ‘sti canti a siò che i te ‘ncorona/ comò un svolo de nuòli matutini/ e un solo su la fossa de gno nona/duta coverta d’alti rosmarini.". Traduzione: "Paese mio,/piccolo nido e covo di gabbiani,/ posato leggero sopra un dosso biondo,/ per te di canti ne farei un mondo/ e mai non finirei di cantarli./Per te questi canti, perché t’incoronino/come un volo di nuvoli mattutini/ e uno solo sulla fossa di mia nonna/ tutta coperta d’alti rosmarini".