Così, la sala d’apertura dedicata al realismo naturalista, prima passione di Huysmans, espone in un bianco accecante tre immensi capolavori decorativi, esecrati dal critico: riproposti nell’ordine in cui comparivano nel Salon dei pittori "ufficiali". Così, l’imperatore Commodo, su una pelle di giaguaro, viene soffocato all’uscita del bagno – sembra che un massaggiatore lo stia manipolando, ironizzava Huysmans, feroce con quella compiaciuta, convenzionale pittura di storia, tutta piacevole. Ovvero Puvis de Chavannes, con le sue "clorotiche" fanciulle in riva a un mare "ritagliato", e l’affettazione del semplice. Per contrasto, non conosce "convalescenza" Gustave Caillebotte, con i suoi Piallatori di parquet chini, sudati e belli su quel pavimento da ricchi, il vino rosso che li attende in un angolo. Anche Caillebotte è pittore di una borghesia agiata, ma Huysmans ama l’"audacia del vero" di quel "rivoltoso dell’arte": e promuove i pittori "indipendenti" e "rifiutati", Monet, Renoir, Forain e Degas, insieme a Jean François Raffaelli, grigio delle miserie contemporanee, e anche tutti i colori impressionisti e «alterati che il dottor Charcot – precorrendo Freud – nota presso gli isterici»: il naturalismo dell’amico Zola è in gioco certo, ma le nevrosi sono in agguato.
E i corpi delle signore con l’ombrellino che passeggiano la domenica pomeriggio sulla Grande-Jatte di Seurat sono già armature dure e vuote, puri contorni. Vezzoli per ora insinua la Giovane donna che cuce di Renoir, rifatto in tappezzeria, con una lacrima di strass che si dipana dall’occhio; lo intitolaSelf-portrait , «ma la cornice è d’epoca», sorride.
La seconda sala – la mostra è tripartita, come le fasi narrative e di gusto di Huysmans – appartiene all’epoca di Controcorrente : la fase decadente e simbolista. L’eroe del romanzo, Des Esseintes, ha una casa estetizzante; Vezzoli perciò ha fasciato questa sala con foto attenuate e anticate del Vittoriale di D’Annunzio, su cui si affacciano i misteriosi volti di Redon che galleggiano su acque opache, gli incubi di Rops, i suoi fiori impossibili; in un paesaggio atroce, il suo Satana «semina larve di donne formicolanti». Scintilla
L’apparizione di Gustave Moreau; lasciva e luminescente, Salomè/Hérodiade fonda, tra Flaubert e Mallarmé, l’estetica decadente. Al centro, rilevata su una moquette rosso sangue, un immenso gioiello capolavoro: la Tartaruga da sera di Vezzoli.
Des Esseintes, in Controcorrente, riprende una fantasia del dandy Montesquiou (squisitamente presente a parete nel ritratto di Boldini): una tartaruga dalla «corazza dorata e tempestata di pietre rare». Folgora come un sole la tartaruga di bronzo di Vezzoli, con l’abbagliante carapace in ottone polito, incrostato di topazi, ametiste, diamanti, monete antiche. Vezzoli racconta dell’entusiasmo delle maestranze di Bulgari, distolte per settimane dal consueto lavoro per questa impresa inopinata.
Poi Huysmans si convertì, suscitando per tutta Parigi emozione, e qualche malignità. Per la terza stanza della mostra ci voleva dunque la Crocifissione di Matthias Grünewald, per Huysmans «lo choc estetico più violento della sua esistenza »: se quella «carogna dispiegata sulla tela poteva essere quella di un dio», naturalismo e spiritualismo potevano conciliarsi. «Inebriante», per Vezzoli, una conversione indotta da un quadro.
I commissari della mostra, Stéphane Guégan del Musée d’Orsay e André Guyaux della Sorbona, grande specialista di Huysmans – ne sta curando le opere complete per Gallimard; esce in questi giorni il primo volume, con i Romanzi e racconti – spiegano a Vezzoli che è impossibile spostare i retabli. Niente paura. Si entra in un cubo nero, e si è circondati da tre immense riproduzioni della Crocifissione, opere di tre diversi copisti cinesi. Le braccia "garrotate", i piedi torti, orribili, il "riso" della bocca nella contrazione della mascella, tutto è mostruoso: ma è «il Cristo dei poveri, dei mendicanti, degli sventurati». Grünewald, scrisse Huysmans, è il più forsennato dei realisti, e il più forsennato degli idealisti.