ItaliaOggi, 30 novembre 2019
Periscopio
Destra e sinistra si ritrovano nei sottopassi. Dino Basili. Uffa news.L’odio che Beppe Grillo ha sempre nutrito per Salvini lo ha portato a far abbracciare il M5s al Pd e l’abbraccio è stato mortale. Paolo Becchi. Libero.
Se si intende per fascismo poca democrazia o le leggi razziali, allora non sono fascista. Se si intende amor di patria o difendere l’ambiente in maniera seria invece è un’altra cosa. Ignazio La Russa, senatore di Fratelli d’Italia. Un Giorno da Pecora. Radio Rai1.
Trent’anni fa andavamo già in giro per le città col telefonino all’orecchio. Eravamo gli unici al mondo a farlo e parevamo pazzi che parlavano da soli. All’estero ci scimmiottavano, invidiosi. Il miracolo era firmato Sip e, in prima persona, dall’a.d., Vito Gamberale che, nel 1994, fu puntualmente sbattuto in galera e messo alla gogna. Dopo anni fu assolto e risarcito per l’errore con 290 milioni. Ma ormai gli era passata la voglia e la Sip finì strattonata da cordate rivali, come un bottino tra pirati ubriachi. La nostra telefonia e la sua tecnologia passarono in mani straniere. Giancarlo Perna. LaVerità.
Se Matteo Salvini fosse un pesce sarebbe una trota marmorata, che è come se fosse un Panda: in tutto il mondo ce l’abbiamo solo noi, è un endemismo da difendere. Matteo De Falco, direttore di Pesca Tv, a Un Giorno da Pecora, Rai Radio1.
Non ho mai fatto il ministro perché mi sento uomo delle istituzioni. Nel ’94 Berlusconi mi voleva al governo a tutti i costi, ma io avevo appena fondato il Ccd e così indicai Mastella, D’Onofrio e Fumagalli Carulli. Volevo dimostrare che m’interessava di più far crescere il partito che la mia posizione personale. Pier Ferdinando Casini, ex presidente della camera. (Concetto Vecchio). il venerdì.
La notte di Venezia del 12 novembre, nei video di chi c’era, è una serie di brevi frammenti ripresi da mani spesso tremanti. Luci oscillanti nell’acqua di calli allagate, il fango che preme e vìola le soglie delle case. Il sonoro di queste immagini è un forte sciabordio di acqua, come si fosse in mezzo al mare; e schianti di pontili che si spaccano, e sorde imprecazioni in veneziano, e un «Madonna!», come un’invocazione, mentre il video si interrompe. Marina Corradi. Avvenire.
Molti si sono riavvicinati alla fede dopo aver visto L’esorcista. Ho ricevuto migliaia di lettere di persone che me lo raccontavano. Il cerchio si è chiuso con l’incontro con Padre Amorth, lo ha raccontato nel doc «The Devil and Father Amorth». Incontrarlo è stata una fortuna, la persona più spirituale che io abbia mai conosciuto. Lui certo credeva di avere a che fare con il diavolo, non nel senso di un essere ma di un concetto. Forse un giorno ci sarà un termine medico per definire le persone che pensano di essere possedute, e magari una cura. Io ancora non ho risposte, il conflitto tra bene e male mi affascina. William Friedckin, regista de L’esorcista. (Stefania Ulivi). Corsera.
Bianciardi mi faceva sentire in colpa. Lì è cominciato il lavorio distruttivo che ha finito per annichilirmi. Ora è doloroso ricordare che per me c’era la mammana pronta, mentre con la moglie nel 1955 ebbe un’altra figlia, Luciana. E fino alla fine avrebbe negato il suo nome al nostro Marcello, il figlio della colpa. Maria Jotosti, compagna di Luciano Bianciardi. (Simonetta Fiori). la Repubblica.
Ho avuto tante donne, ma una sola ha contato veramente: mia moglie. Siamo stati insieme per più di cinquant’anni. Non mi ricordo, scusa, quando è morta. Aspetta, aveva 73 anni. Ha sofferto molto e mi sono sentito un verme per tutti i tradimenti, le bugie, le implorazioni. Veniva da una famiglia ricca. Di gioiellieri. Suo padre le disse che aveva sposato un morto di fame. Forse era vero. Forse non doveva. Ma lei se ne è fregata. Lando Buzzanca. (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Venni a sapere della sciagura di Superga dove morì anche mio padre, allenatore del Torino, il 4 maggio 1949. Ero in partenza per Parigi. Appena salita sul treno, udii una frase: «È caduto l’aereo del Torino, sono morti tutti». Corsi a casa da mia madre e da mia sorella. Non sapevano nulla. Avevo prestato al babbo la valigia, intimandogli: la rivoglio indietro. La trovai intatta fra i rottami. Dentro c’era questa bambolina in costume portoghese per la mia collezione (l’accarezza). In ogni Paese dove andava me ne comprava una. L’ho portata in tutto il mondo. Non farei mai uno spettacolo senza averla con me. Susanna Egri, ballerina. 93 anni. (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Al Corriere, mentre parlo con Mottola, sento Spadolini che grida nella sua stanza parole come «fellonia», «traditori» eccetera. È la prima volta che lo sento parlare con tanta concitazione e ricorrendo a un simile vocabolario. Dev’essere proprio stravolto. Subito dopo appare: roseo, affabile e sorridente come sempre. «Contro chi urlavi?» Gli chiedo. «Contro uno che non c’era», risponde. «Perché se ci fosse stato, non avrei urlato, si capisce...». Indro Montanelli, I conti con me stesso. Rizzoli, 2009.
Dappertutto un’alluvione di panna, voce suadente, materna che «lega» e siccome lega, te le propongono nei cocktail di scampi, poi nei fatidici maccheroni panna-prosciutto-piselli, poi nelle scaloppe, poi nelle fragole, poi nel caffè e anche i sottaceti e l’amaro di casa hanno i giorni contati. E bistecche che, dopo l’invocazione «al sangue», giungono sul tavolo sotto forma di espadrillas. E poi formaggio grattugiato in strati geologici che cade a blocchi sulla pastasciutta «al sangue». Luca Goldoni, Viaggio in provincia. Mondadori, 1984.
Quel gran filibustiere di Giolitti era pure un uomo che capiva le cose, e capiva anche che le cose dovevano cambiare. Pare che il Paese abbia avuto un grande sviluppo economico sotto di lui, soprattutto le banche e le industrie. Capiva pure un po’ le ragioni dei poveri, è lui che fece la prima legge contro gli infortuni e contro il lavoro dei minori. Insomma, a un certo punto, pare che sia andato dal re, a dirgli: «Caro Re, così non possiamo andare avanti. Questi, i poveri e gli operai, se non ci diamo una mossa e continuiamo a tartassarli troppo, prima o poi si stufano e ci buttano a gambe all’aria tutti quanti siamo. Antonio Pennacchi, Canale Mussolini. Mondadori, 2010.
Giuliano, dipingimi un piccolo spazio, anche solo una macchia, una macchiolina, anche solo un punto piccolo, nero, e nient’altro, ma dove io possa stare. Antonio Moresco e Giuliano Della Casa, La mia città. Nottetempo, 2018.
L’intellettuale impegnato cerca una causa cui immolarsi, senza sacrificarsi. Roberto Gervaso. il Giornale.