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 2019  novembre 30 Sabato calendario

Intervista a Ernst Knam

«Perché?». La domanda campeggia nel piccolo studio bianco di Ernst Knam dentro un quadretto in bella vista, in mezzo ai libri di colleghi e amici. Intorno praline, renne e altre prelibatezze campeggiano in attesa di essere portate in negozio. Il profumo è inebriante. «Non ho ancora trovato la risposta, per quello l’ho messo lì. Passione di sicuro, ma poi...».
Ci sono mattine in cui ce lo chiediamo, praticamente tutte: è la vita. La reazione potrebbe essere quella di restare a dormire oppure partire per una nuova avventura. Per Ernst la soluzione è stata organizzare la «Knam Chocolate Experience», quattro giorni in cui pasticceria e cucina sono la stessa cosa, com’è giusto che sia. In cui il cioccolato e i piatti stellati fanno parte della stessa famiglia, com’è normale: «Io nasco con Gualtiero Marchesi in fondo. E in cucina ho sempre lavorato». Insomma: la risposta a quella domanda non è ancora arrivata per davvero («Ti dirò: certe volte ti aspetti un po’ più di entusiasmo e appunto ti chiedi il perché di certe cose»), ma poi alla fine giorno dopo giorno ne vale sempre la pena. Per esempio vedere a Milano intorno al cioccolato di Knam star dei fornelli come Andrea Mainardi, Arnaud Marchand e Fabrizio Nonis. Re della pizza come Salvatore Salvo. Personaggi incredibili come Mitsuharu Tsumura, o meglio Micha: lo chef che nella cena di gala di stasera mescolerà la sua arte nippo-peruviana con il cioccolato che Knam ha trovato proprio nel Paese sudamericano.
Ernst, più che un’experience è un’esperimento incredibile. 
«Il programma di questi giorni è davvero un inedito. Perché l’ho fatto? Appunto: me lo chiedo...». 
Alla fine però è un successo. Ma la curiosità è: i pasticceri nelle cucine che contano come sono considerati? 
«Per mia esperienza personale posso dire che in una squadra di 11, il pasticcere di solito viene messo in panchina. Poi se hai personalità entri in squadra. E io mi sono fatto sempre sentire». 
Come? 
«Dicendo la verità. Ovvero che il dolce è la conclusione del pranzo stellato: io con un ottimo dolce posso salvare una cena. O posso anche rovinarla». 
Sembra una minaccia... 
«Ma no, anzi. Ho sempre aiutato in cucina e mi piace il dialogo con i cuochi. Come dicevo: la brigata è una squadra. E poi a me piace cucinare». 
Dipende anche dall’immagine: Ernst Knam ormai è famoso.
«Quello non c’entra: dipende invece da cosa vuoi comunicare e dove vuoi arrivare. Io non mi sono mai sentito un ingranaggio a parte: la ristorazione è a 360 gradi e va dalla colazione all’ultimo gin tonic della sera. Per cui anche i barman sono importanti, così come i cuochi e i lavapiatti. E i pasticceri appunto». 
È evidente che c’è chi non la pensa così. 
«Chi fa delle categorie in cucina è uno stupido. Si vince solo insieme. Questo non è un lavoro come altri, porta via tempo e costa sacrificio. Pensare di essere da solo non ti porta da nessuna parte». 
Dicevamo della fama, la Tv aiuta. 
«Sì, ma devi saperla fare. Il primo è stato Buddy Valastro in America, poi sono arrivato io con Bake off in Italia. Altri ci hanno provato, ma per esempio Massari sulla Rai è stato un flop. Non è facile». 
Il segreto? 
«Essere se stessi. Per me la tv è un contorno nel mio piatto quotidiano. Sono e resto pasticcere, sennò andavo a studiare per diventare attore o per fare la star. Io non ho studiato niente. Preferisco il cioccolato». 
Davvero è tutto senza copione? 
«Copione? Quando me l’hanno fatto vedere la prima volta non sapevo cosa fosse. L’autore voleva farmi dire quello che mi suggeriva in un orecchio. Gliel’ho ridato indietro: Io son qui per giudicare con la mia testa, se volete uno così allora resto, sennò vado via. Non ho visto più copioni». 
E sei diventato l’idolo dei bambini.
«Io amo i bambini. Non li mangio...». Ride. 
Qualcuno lo pensava. 
«Nella mia vita ho fatto anche l’allenatore di calcio giovanile. A casa mia siamo 5 fratelli e ho 17 nipoti. E poi anch’io sono un po’ bambino. Solo che non mi conosce dice che sono duro. Invece sono dolcissimo...». 
E in cucina come sei? 
«L’ho detto: il componente di una squadra. Tra l’altro a me piace cucinare, non solo fare dolci. Se invito a casa degli amici preparo tutto io, dall’antipasto al dolce. Il risotto per esempio mi viene bene. Anche il pesce». 
Che cos’è davvero il cioccolato? 
«Questo è cioccolato!». Tira fuori un barretta fatta con il cacao che arriva dal Perù. «Grazie al governo sono andato nella piantagione di Cusco dove ho vissuto giorno tra caffè e cacao. È stato un viaggio incredibile». 
Cos’hai trovato? 
«Si sa che i sudamericani sono ospitali, ti accolgono a braccia aperte. C’è povertà, è vero, ma c’è tanta ricchezza e non parlo di denaro ma di qualcosa di meglio. La natura è incredibile, se vai a Machu Pichu resti senza fiato». 
E il cioccolato? 
«Sono stato a 3500 metri d’altitudine. Dove Virgilio Martinez, lo chef del Central di Lima che è il quinto/sesto al mondo, ha un ristorante di ricerca che lavora con gli Incas e con un’università. Si chiama Mil e utilizzano solo prodotti del posto. Un po’ come il Noma di Copenaghen. E lì ho trovato una ricchezza pazzesca». 
Ovvero? 
«Hanno 500 tipi di mais, 3000 tipi di patate certificate. Una varietà mai vista. Noi in cucina siamo come dei piccoli chimici, lavoriamo con le molecole. Per questo dico ai giovani di imparare le materie prime e non la tecnica. Un posto come quello spiega perché». 
Sì, ma: il cioccolato? 
«Ho visitato le piantagioni dei contadini, e all’università ho visto queste cabosse piccole e particolari. Mi spiego: ogni albero di cacao fa 35 cabosse circa e per un contadino meglio averle grandi per guadagnare di più. Un ettaro di queste piccole, che si chiamano señorita, fa solo 500 chili di cacao. L’ho assaggiato e ho trovato un gusto incredibile: senza acido, puro. Ho detto: lo voglio!». 
Risposta? 
«Non si può, impossibile. È solo per ricerca...». 
Eppure...
«Non mi sono arreso. Ho trovato una famiglia che me ne ha fornite 3 tonnellate. Cacao senza incroci e senza innesti, che nella lavorazione non devi neanche toccare. Ne ho fatto quattro declinazioni: oltre a quello puro, c’è caffè e bacche rosse, lime e zenzero, pistacchio salato, vaniglia Tahiti. Grafica del packaging di Fabio Novembre». 
Una vera scoperta. La prossima? 
«C’è sempre qualcosa di nuovo. Per esempio che il cioccolato è molto salutare: sto lavorando con un primario esperto di food, usciremo con qualcosa spettacolare. Una medicina naturale: d’altronde una ricerca australiana dice che se ne mangiamo minimo 8 gr al giorno di quello al 70 per cento di cacao, riduciamo il rischio di ictus e infarto del 20 per cento. L’altro 80 per cento ovviamente dipende da noi: se mangio tutti i giorni pata negra non funziona...». 
Finiamo col galà di stasera...
«È un onore avere Micha. In Perù ho fatto visita ai 3 Fifty Best del Paese: il suo, quello di Martinez e Astryd y Gaston. In pratica: 18 patti, 18 piatti, 18 patti. Da pranzo a pranzo in 24 ore».
Praticamente un sopravvissuto...
«Quasi...». Sorride. «Ogni cuoco ha una visione diversa. Ma Micha è quello che più mi somiglia: è di famiglia giapponese ma è peruviano, così ha prodotto un mix pazzesco e unico. E poi il suo ristorante sembra un mercato: gente che va e che viene, piatti cucinati sul tavolo. Lui dice mangiare è divertimento». 
E per Ernst Knam cos’è la cucina? 
«La penso anch’io così: ci rompiamo le scatole tutto il giorno con mille impegni, quando andiamo al ristorante bisogna lasciarsi andare. Sempre nel rispetto delle regole, ma dobbiamo divertirci alla fine».
E alla fine c’è il dolce. Il vero perché, in fondo.