Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2019
’Ndrangheta, il 95% delle imprese non denuncia
«Il 95% degli imprenditori (al nord ma anche altrove) non denuncia le infiltrazioni della ’ndrangheta nelle loro aziende». La percentuale, riferita dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ieri mattina ad Alessandro Milan, nel corso del programma «Uno, nessuno, 100Milan» di Radio24, raggela ma non sorprende. Così come non sorprendono le modalità utilizzate dalle ’ndrine per inserirsi e incistarsi profondamente nel tessuto produttivo del nord. «Non già con lo scopo di arricchirsi – chiarisce ancora Gratteri a Milan – ché le cosche sono già ricchissime, ma con quello di ripulire denaro già esistente e, soprattutto, di farlo in un contesto e in un ambiente nel quale la ricchezza ha più modo di mimetizzarsi: costruire una cattedrale nel deserto in Calabria attira troppa attenzione». L’inchiesta «Camaleonte» nata nel 2013 e chiusa nei giorni scorsi con la notifica di 54 avvisi di fine indagini nei confronti di esponenti della cosca di Crotone Grande Aracri, Cosca considerata dagli inquirenti di “serie A” e attiva sia in Emilia sia in Veneto, però, è iniziata proprio grazie a un imprenditore che si è opposto alle lusinghe, alle pressioni, ai diktat, alle minacce, alle percosse (17 giorni di prognosi) e persino a un sequestro di persona, messi a segno – in un crescendo di studiata drammaticità – dagli uomini delle cosche. È Stefano Venturin, titolare della Gs Scaffalature di Galliera Veneta (Padova) che a Milan nel corso del programma ha raccontato nei dettagli le avances dei clan, i primi incontri, gli abboccamenti, sino alla consegna di una valigetta contenente 400mila euro in banconote da 500 euro. Circostanza questa che ha tolto a Venturin ogni dubbio su quanto stesse davvero accadendo a lui e alla sua azienda. «I soggetti mi erano stati presentati da un mio socio e inizialmente si spacciavano per amici. Era un periodo, il 2011-2012, di grandi difficoltà economiche. Potete immaginare verso metà mese le gravi difficoltà nell’adempiere agli obblighi contributivi e nei confronti dei fornitori, così questi signori – ha proseguito Venturin- sono entrati in azienda offrendo il loro aiuto. Un aiuto concreto di fronte al quale mi sarei volentieri disteso. Il problema era che il denaro che mi veniva proposto era in contanti. A quel punto la mia reazione è stata quella di dir loro: se volete mettere questi soldi in azienda lo fate con un bonifico tracciato e dichiarando di volere finanziare la mia azienda. In quel momento li accetto. Ma non così. Quel giorno era presente anche il grande capo. La reazione a quel punto è stata immediata: “tu non sai contro chi ti stai mettendo”. Da quel momento si è scatenato l’inferno. Una sera mi hanno tenuto dalle 18 alle 21 in quattro con le pistole puntate per tentare di farmi cedere le quote dell’azienda». Dopo la denuncia, però, e il successivo intervento delle forze dell’ordine la situazione si è quasi normalizzata: le telefonate di minaccia e i pedinamenti si sono interrotti. Una storia drammatica, quella di Venturin, emersa tra decine e decine di vicende altrettanto cruente ma rimaste sottotraccia.
«Nel triveneto la penetrazione mafiosa – come ha di recente affermato Bruno Cherchi, procuratore capo di Venezia – non ha più le caratteristiche di un’ infiltrazione, ma piuttosto di una ramificazione». Va anche sottolineato come i fatti oggetto dell’inchiesta battezzata Camaleonte risalgono al 2011- 2012 e che le indagini hanno mosso i primi passi l’anno successivo. Non va dimenticato che nel biennio successivo si è avuto il pressoché contestuale crollo dei due principali polmoni finanziari del Nord Est. Il collasso e la sottoposizione alla liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e della Banca popolare di Vicenza. Un doppio ko che ha provocato notevoli contraccolpi all’intero tessuto produttivo di un’intera macroregione. E il rischio concreto che interi settori produttivi a seguito dei due collassi bancari e alla difficoltà di ottenere nuove linee di credito dal sistema creditizio esistente, siano potuti cadere nelle mani della criminalità organizzata è stato sollevato in più convegni tenuti sul territorio, da investigatori, magistrati e osservatori qualificati del fenomeno.