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 2019  novembre 30 Sabato calendario

Il caso del cinema Maestoso di Roma

C’è un indirizzo al quale la recente cronaca italiana ha eletto domicilio: via Appia Nuova 416 Roma. Collega disastri e delitti, illusioni e fallimenti. Quel che si vede passandoci davanti è uno slargo in degrado: serrande abbassate, finestre chiuse, l’insegna spenta di un grande magazzino di elettronica e lo scheletro di un cinema. È da qui che bisogna iniziare, anzi ripartire per spiegare perché, parafrasando una nota metafora, se un cinema chiude i battenti a Roma, un ponte crolla a Genova e poi un ragazzo muore ammazzato per strada.
Il cinema si chiamava, non senza ragione, Maestoso. La data di inaugurazione, il 1957. L’ingegnere che l’aveva progettato, Riccardo Morandi. Da vent’anni si stava dedicando alla creazione di sale cinematografiche nella capitale: aveva esordito con l’Odescalchi nel 1931 . In seguito erano venuti l’Augustus (1934), il Giulio Cesare (1939, unico ancora in funzione), l’Astoria, l’Alcyone, il Bologna. Da lì era passato a disegnare fabbriche, centrali e, soprattutto, ponti (in Toscana, Lazio, Sicilia, Sudafrica). Quello sul torrente Polcevera, a Genova, lo avrebbe inaugurato nel 1967. Dieci anni prima, sull’Appia Nuova, in un quartiere che la crescita del secondo dopoguerra designava come esperimento urbano, battezzò il Maestoso. Lo era. E polifunzionale: negozi (a terra), magazzini (sotto), abitazioni (ai piani alti). In mezzo il gioiello: la sala da 2500 posti con poltrone di velluto, accessibile attraverso un gioco di scale che traspariva dai vetri della facciata brutalista. Un edificio razionalista, asimmetrico, imponente, ma anche un polo di attrazione. A cominciare dalla sua posizione, arretrata rispetto alla strada, così da creare una piazza, un luogo d’incontro, un prima e un dopo alla proiezione. 
Sopravvivere
È rimasto tale per 61 anni, mentre il Paese e la sua capitale cambiavano e lo inducevano a ritoccarsi per sopravvivere. Multisala (4 schermi) invece dell’unico proscenio. Blockbuster accanto ai film d’autore per attirare ogni tipo di pubblico in un quartiere che esondava e viveva le sue nere eccezioni: il duplice omicidio di via Acca Larentia nel 1978; nel 2007 il ferimento alle gambe di Fabrizio Toffolo, capo degli Irriducibili della Lazio, fondati insieme Diabolik, ammazzato nell’agosto scorso; la violenza su due fidanzati al parco della Caffarella il giorno di San Valentino del 2009. Restava tuttavia un epicentro dell’immaginario perché qui era passata la macchina da presa della Dolce Vita e dei Soliti ignoti, qui aveva un bar Franco Franchi e qui c’era il Maestoso. 
Che per i cinema tirasse aria di crisi si era capito da tempo. Nel mondo, in Italia, a Roma, sparivano come luci di lampioni all’alba, lasciando una Spoon River di nomi e ricordi: Impero, Fiamma, Etoile, New York, America, Pasquino, Metropolitan..... Qualcuno subito dimenticato, qualche altro difeso fino a farne un caso nazionale. Qualcuno rimpiazzato da boutique del lusso, qualche altro abbandonato. Il Maestoso reggeva nella tempesta, sbandando, rischiando il naufragio nel 2012, ma reagendo con un’occupazione/ammutinamento, con la forza di un quartiere e la volontà di un destino in controtendenza. Mancava la climatizzazione, si fermavano le scale mobili, calavano i profitti, ma avanti. 
Fino alla primavera del 2018. A fine maggio l’amministratore delegato di Circuito Cinema, che gestiva la sala, venne in visita. Uno degli otto dipendenti lo condusse per ogni anfratto, corridoio, segreta stanza, spiegandogli che le sale potevano essere raddoppiate, la crisi battuta. L’altro annuiva, prendeva appunti, scattava foto. Una settimana dopo fu annunciata la chiusura. The end. 
L’ultima proiezione
Ultima proiezione, domenica 3 giugno 2018. Un’amara festa rionale. Quattro licenziamenti. Quattro ricollocamenti. Tredicimila firme inutilmente raccolte per la riapertura. Un gruppo Facebook per non spegnere la fiammella. Intanto, in parte inevitabile, in parte imprevedibile, iniziava un domino funesto. Due mesi e mezzo più tardi cadeva il più noto dei ponti disegnati dall’ingegnere del Maestoso, provocando 43 vittime e realizzando il giudizio/profezia di Bruno Zevi: «Le opere di Riccardo Morandi sembrano raggelate un momento prima del crollo». Un collegamento solo ideale, ma anche un segnale di sfaldamento generale. Come all’espandersi di un contagio, altre serrande calavano accanto a quella del cinema. 
Più fragorosa, quella del magazzino Trony, la porta accanto. Nello stesso quartiere oggi l’ex direttore lavora come portiere di riserva, sostituendo nelle guardiole i titolari in ferie. La piazza «artificiale» pensata come anticamera dello spettacolo, persa la sua funzione, è stata invasa: bancarelle di giorno, traffici di notte. Sono comparsi i vetri rotti, gli infissi divelti, i graffiti sul cemento armato precompresso che era il materiale feticcio di Morandi. Dei negozi esistenti venticinque anni fa ne sopravvive ancora uno. Al posto degli altri: street food, cineserie, lavaggi veloci. Un anno e mezzo senza il cinema faro e dove vanno le barche di notte? Al pub, o per strada. È questo l’ultimo tragitto percorso, a un chilometro dal maestoso rudere, da Luca Sacchi, bravo ragazzo di 24 anni, ammazzato a fine ottobre per una storia di droga ancora oscura. Frequentava queste strade, questi parchi privi di manutenzione, passava davanti alle edicole chiuse. I suoi amici e, soprattutto gli amici degli amici, non sognavano di fare il cinema, come i loro genitori: ambivano a scorciatoie per il denaro, ad altri tipi di celebrità.
La pratica del Maestoso è ferma. Le bancarelle sono state sgomberate come era richiesto per avviare qualsiasi progetto di recupero. Quello approvato prevede l’aumento del numero di appartamenti, negozi dove erano le casse, sale di minor capienza. Nessun esercente si è ancora fatto avanti. Il timore è il cambio di destinazione. La facile previsione è che questa giunta immobilista non tocchi nulla, la prossima consenta la variazione o l’espediente già usato con l’Etoile: si tiene in vita una saletta di bandiera all’interno di un complesso che propone tutt’altro. Succede ovunque, perfino a New York. Si dà la colpa a Netflix e a tutte le offerte di intrattenimento on line. Ci si dimentica che in una città le buche più pericolose sono i vuoti: là dove c’erano un cinema, un teatro, una libreria, un campo sportivo, un parco. E ora: niente. Tutti a casa. Che poi era un gran film. Lo diedero al Maestoso.