Corriere della Sera, 30 novembre 2019
Tre casi di streghe nell’era dell’Inquisizione
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Tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVIII molte donne in Italia furono uccise a furor di popolo: additate, incarcerate, torturate e, quelle sopravvissute ai supplizi, impiccate sulla pubblica piazza e arse al rogo. Le chiamavano «streghe» ed erano condannate a morte dalle malelingue, con processi fasulli e senza una difesa. In Streghe. Le eroine dello scandalo (Neri Pozza), Ilaria Simeone ripercorre questo scorcio di storia italiana avvalendosi di documenti di archivio, testimonianze e atti dei processi per raccontare, attraverso tre storie – che riporta separando la verità dal mito popolare – un altro esempio di banalità del male, giunto a noi sotto forma di folclore. «Caterina, Toldina, Isotta e le altre sono eroine dello scandalo, nel significato greco del termine: insidia, ostacolo, inciampo. La pietra dello scandalo, a volte, è pietra d’inciampo».
La prima storia avviene tra il 1616 e il 1617, nel Ducato di Milano e Mantova. Caterina de Medici è querelata da Ludovico Melzi, perché suo padre soffre di dolori allo stomaco che i medici non riescono a curare. È chiaramente colpa della serva di casa Caterina che, dicono in giro, «da quattordici anni ha commercio carnale con il diavolo ed è strega professa». Inizia il calvario della donna, accusata di provocare malattie, sciagure, infanticidi, aborti. Perché all’epoca dell’Inquisizione, bastavano «inattendibili denunce di testimoni improbabili per finire arse vive: anche i bambini e gli psicolabili erano creduti sulla parola». Ancora prima di strega, Caterina è vittima: di violenze sessuali, di maltrattamenti, del suo essere donna, «“più carnale dell’uomo”; facile alla perversione», come ammonisce il Malleus maleficarum, trattato demonologico e bestseller dell’epoca. La vita di Caterina finisce il 4 marzo 1617 in piazza Vetra a Milano, tra le fiamme del fuoco e quelle dell’ignoranza. Dal palco, costruito appositamente per la grande folla, si alzano le urla: «Brucia, strega!».
Tra il 1587 e il 1589 muoiono allo stesso modo le streghe di Triora (borgo ligure ricordato come la Salem d’Italia), nella IX Podesteria della Repubblica di Genova. C’è molta fame nelle campagne: «La terra è maledetta!» urla il popolo. Additate come colpevoli di carestie, le malefiche vanno bruciate: la prima è Isotta Stella; la seguono, in tre anni, altre 34 donne e uno stregone (tra di loro, anche delle bambine): solo quattro torneranno a Triora. Ma per la prima volta nella Podesteria inizierà a scricchiolare il sistema della giustizia: da Genova e da Roma arrivano ammonimenti sull’estremo modus operandi degli inquisitori. Eppure le vittime restano in balìa della sete d’odio. E un’intera comunità viene distrutta.
Ma è con il caso della Toldina che il sistema giudiziario si sgretola su sé stesso. Tra il 1715 e il 1716 Maria Bertoletti Toldini, all’età di 60 anni e con uno status sociale «sospetto» (al secondo matrimonio e sterile), viene processata («fattucchiera, strega, infanticida, lamia, fornicatrice, adultera, sodomita…» è l’accusa), decapitata e bruciata. Non ci sono «veri» motivi per condannarla, il suo è un processo gratuito che mostra una giustizia «colpevolmente annoiata». Anche per questo trecento anni dopo, nel 2015, il comune di Brentonico (Trento), dove venne uccisa, ha chiesto un ricorso in appello al processo, per dare giustizia a lei e a tutte quelle innocenti passate alla storia come folclore e leggenda, anziché essere ricordate nella tragedia. Un monito contro ogni forma di emarginazione, superstizione, intolleranza. Perché, termina Simeone, «il male, quando è banale, sparisce, repentino e inosservato, nelle pieghe della storia».