Corriere della Sera, 30 novembre 2019
Cosa è vero o falso sul Mes
In un’Italia polarizzata, ogni tema assume una valenza simbolica. Essere pro o contro qualcosa diventa un segnale di appartenenza e non una scelta nel merito. Dietro i simboli però ci sono i fatti, che in un Paese vengono dati per scontati al punto da dimenticarli. È allora che il terreno per le manipolazioni si fa fertile e poche volte ciò stato vero come con il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Ma fare chiarezza forse si può.
1 Cos’è il Mes?
Il fondo salvataggi Mes – il cui segretario generale è il perugino Nicola Giammarioli – è un ente dei governi dell’euro nel quale l’Italia ha una quota del 17,7% (pari al peso economico del Paese nell’area) che corrisponde in proporzione a un capitale versato di 14,3 miliardi su un totale di 80,5. Il compito del Mes è prestare agli Stati in dissesto che non riescono più a finanziarsi sul mercato, o altri Paesi dai conti sani eppure in difficoltà. L’Italia non dà al Mes 125 miliardi, come si è detto. In realtà l’ente può emettere bond per raccogliere sul mercato risorse garantite pro-quota dagli Stati fino a 705 miliardi. L’Italia garantirebbe dunque per 125. Non è questa però la somma a rischio e il Mes non ha mai subito perdite (anche se i rimborsi di Atene sono rinviati).
2Accordo «di nascosto»?
La riforma del Mes è stata trattata in negoziati fra governi, che non sono mai pubblici. Tuttavia, i termini esatti della questione lo erano da un anno. Dal 4 dicembre 2018 sul sito del Consiglio Ue si trova un documento che illustra in dettaglio ciò che poi sarebbe stato concordato sei mesi dopo. Tutto trasparente, per chi voleva informarsi.
3 «Mancato rispetto del Parlamento»?
Il 19 giugno scorso il premier Giuseppe Conte alla Camera spiega la bozza di accordo sul Mes in agenda al vertice Ue del giorno dopo. Poco dopo la maggioranza di M5S e Lega approva la risoluzione 6-00076, che vincola il governo a rifiutare accordi sul Mes «che finiscano per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti ed automatici». Automatismi nell’imporre default ai Paesi che chiedano un prestito dal fondo salva-Stati (Mes) erano stati proposti da Germania, Olanda e altri, ma l’idea non è passata. La Camera chiede a Conte anche di rifiutare intese che «minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale». Ma neanche questo rischio c’è. Il premier a Bruxelles rispetta dunque in pieno il mandato della Camera. Comunque nel 2020 il parlamento dovrà di nuovo pronunciarsi per la ratifica.
4 Perché il Mes cambia?
La riforma serve in primis per permettere al Mes dal 2024 di prestare a un «Fondo unico di risoluzione», costituito dalle banche europee per finanziare l’operatività degli istituti che falliscono. Se i 60 miliardi del Fondo di risoluzione non bastano, il Mes potrà fornire altre risorse. Eviterebbe così di dover prestare attraverso gli Stati nei quali si trovano le banche fallite e dunque di aumentarne il debito pubblico. È un passo dell’Unione bancaria che può servire (anche) all’Italia. Non è scontato che queste risorse vadano alle banche tedesche, perché finora la Germania ha sempre gestito i propri dissesti da sola.
5Altre novità nel Mes?
È la novità più controversa: il Mes stesso affianca formalmente la Commissione Ue nel valutare se un governo che chiede un salvataggio sia in grado di rimborsarlo. Se si concludesse che non lo è, il Mes può rifiutare l’aiuto. Ciò obbligherebbe il governo in crisi a imporre perdite ai suoi creditori di mercato (famiglie, banche, fondi esteri) in modo da ridurre i debiti preesistenti e accedere così al salvataggio del Mes. L’analisi di sostenibilità del debito finora era della sola Commissione Ue, più attenta all’interesse generale. Ora invece collabora anche il Mes, si specifica, «dal punto di vista del creditore» e dunque probabilmente più severo. Se Commissione e Mes non concordano, quest’ultimo di fatto prevale. Il punto è controverso perché se gli investitori iniziassero a temere che il Mes voglia imporre un default, potrebbero chiedere interessi sempre più alti per prestare a uno Stato fragile. La crisi dunque rischierebbe di auto-avverarsi. Questo però non dipende dalla riforma del Mes, ma dall’orientamento politico del maggiore creditore: la Germania. Già con le vecchie regole oggi in vigore, il Mes prevede in pieno la possibilità di default pilotati dei creditori privati e la Germania è legalmente del tutto in grado – se vuole – di mettere un veto sul salvataggio di un Paese in dissesto che non imponga perdite sui propri creditori. La lite su questo punto della riforma oggi in Italia è dunque futile.
6 Credito «leggero».
È previsto dal 2012, non da oggi, che il Mes metta a disposizioni linee di credito con poche o nessuna condizione anche a Paesi dai conti risanati ma colpiti da choc (forse l’Irlanda dopo la Brexit) o in uscita da una crisi (la Grecia oggi). Ma anche qui si fa confusione: per l’Italia, il tema è irrilevante.