Il Messaggero, 30 novembre 2019
Wilhelm Furtwängler moriva 65 anni fa
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Era nato a Berlino il 25 Gennaio 1886, figlio di un illustre archeologo e di una pittrice il cui padre era stato amico di Brahms.
LA FAMIGLIA
Nella sua famiglia, frequentata da scienziati e da artisti, il fanciullo dimostrò le doti consuete dei geni musicali precoci. I genitori lo assecondarono, e il ragazzo associò i rigorosi studi strumentali alla ricerca di nuovi mezzi espressivi, sempre nell’ambito della tradizione tardoromantica. Esordì come compositore, e in seguito avrebbe anche scritto delle pregevoli sinfonie. Ma il suo destino non era di creare ma di interpretare. E a trent’anni era già uno dei direttori più affermati. Gli furono affidate alcune tra le orchestre più prestigiose: dalla Gewandhaus di Lipsia alla Filarmonica di Vienna, finché nel 1922 approdò ai Berliner Philharmoniker, e ne plasmò il carattere elevandoli agli indiscussi vertici mondiali. Un primato che mantennero a lungo anche dopo la morte del Maestro: una Repubblica Musicale, dove si entrava per cooptazione dopo una selezione spietata. Poiché a questo mondo niente è eterno, anche i Berliner decaddero, e oggi sono forse superati da altri complessi europei e americani. Ma fino a vent’anni fa anche l’orecchio poco esperto ne riconosceva subito l’inconfondibile suono.
Furtwängler girò il mondo, entusiasmando tutti i teatri, ma ritornava sempre a casa volentieri. Era tedesco fino al midollo, e questo incondizionato assorbimento culturale gli impedì, all’avvento del nazismo, di affrancarsi da un regime di cui non condivideva nulla, ma che rappresentava comunque la Germania. Protesse vari orchestrali ebrei e difese Paul Hindemith – che Goebbels considerava un degenerato – rischiando il ritiro del passaporto e forse la prigione. Ma rimase al suo posto, con tutti i compromessi conseguenti. La sua unica passione era la musica, e pensava di servirsene per mitigare le asperità della guerra, le sofferenze della popolazione e magari le crudeltà dei governanti. Il resto del mondo non gli credette, e i grandi esuli da Erich Kleiber a Toscanini espressero nei suoi confronti dei giudizi severi. Tuttavia, pure nel suo isolamento berlinese in tempore belli, Furtwängler continuava ad esser considerato il numero uno.
La fine della guerra sembrò segnare anche la fine sua. Gli americani lo misero sotto inchiesta, e la stampa lo definì un nazista servile. Molti solisti rifiutarono si suonare con lui. Ma l’ebreo Yehudi Menuhin, già allora il primo violino mondiale, reagì indignato a queste discriminazioni, e la loro esecuzione del concerto di Beethoven è ancor oggi insuperata, e forse insuperabile.
TEMPESTA
Passata la tempesta, Furtwängler ritornò sul podio con maggior prestigio di prima, passando di trionfo in trionfo. Nell’ultimo anno di vita, diresse più di cinquanta concerti e una mezza dozzina di opere liriche.
Fu anche questo diverso atteggiamento politico a enfatizzare il confronto con l’altro idolo del momento, Arturo Toscanini. Il nostro Maestro era stato un antifascista militante, ed era emigrato in America dopo il noto affronto subìto da alcune esaltate camicie nere. Durante la guerra girò – come Bob Hope e Marlene Dietrich – tra le truppe al fronte dirigendo anche le bande militari per spronare i combattenti alla vittoria; e quando eseguì l’Inno delle Nazioni di Verdi volle inserire, in un discutibile finale, l’Inno Americano e l’Internazionale socialista. Furtwängler aveva diretto ripetutamente davanti al Fuhrer e ai suoi gerarchi, e la macchia del collaborazionismo gli era rimasta appiccicata. L’inchiesta americana terminò con un’assoluzione, ma la diffidenza rimase. I due geni non si intesero mai.
In realtà l’incompatibilità politica era, se possibile, ancor meno marcata di quella musicale. Toscanini era – ed è – considerato un classico, aderente alla lettura del dettato musicale, asciutto nell’obiettiva ricostruzione del testo, estraneo a quei giochi espressivi marginali e accessori che rischiano di alterare le intenzioni dell’autore.
LE SUGGESTIONI
Furtwängler, al contrario, era un romantico, per il quale l’atmosfera sonora e le suggestioni timbriche tendono a sfuggire dalla realtà scritta nel pentagramma. La sua gestualità era ampia e generica, talvolta difficile da seguire, ma il magnetismo della bacchetta avvolgeva tutti gli strumenti in un’incantevole armonia. Per noi dilettanti, questa differenza emerge subito dalla velocità dei tempi e dalla durata delle esecuzioni. Le sinfonie di Beethoven dirette da Toscanini durano in media cinque o sei minuti in meno di quelle del rivale teutonico. La Pastorale del primo termina dopo 37 minuti, quella del secondo dopo 44. Si capisce perché molti critici abbiano accusato Toscanini di superficialità e trascuratezza, e persino di anemica frigidità, mentre hanno esaltato in Furtwängler una sensibilità nella dilatazione dei ritmi e nella modulazione dei suoni che suscitano emozioni più profonde di quelle evocate dalla santa pedanteria toscaniniana.
Noi ovviamente non abbiamo alcun titolo per prender partito tra l’una e l’altra tesi, se non quello di appellarci al gusto individuale, che è poi l’unico criterio di giudizio ragionevole. Del resto l’ascolto della musica dev’essere svincolato dalle ossessioni tecniche, per non affievolirne l’intuizione lirica nella scolastica ricerca del perfezionismo esecutivo. Comunque sia, la figura di Furtwängler rimane fondamentale per tutti i critici, quantomeno nell’ambito del romanticismo tedesco. Se è vero che la virtù sta nel mezzo, nessuno come lui seppe trovare il giusto equilibrio tra il rigido dinamismo di Toscanini, la potenza espressiva di Karajan e la sensuale, maestosa lentezza di Klemperer e di Celibidache. Ma sarebbe quasi blasfemo ridurre i suoi meriti a una sorta di conciliazione sincretistica dei vari stili. Perché il suo stile fu unico, e costituì la coniugazione perfetta del raziocinio e del sentimento che solo la musica, nella sua astrattezza svincolata da ogni rappresentazione figurativa, sa evocare in ogni anima sensibile. Ed ancora oggi ascoltando il Franco cacciatore, il cui finale viene anticipato e quasi impedito dagli straripanti applausi di un pubblico inebriato, noi identifichiamo in Wilhelm Furtwängler il più amato interprete della musica tedesca.