Sette, 29 novembre 2019
Biografia di Rocco Casalino raccontata da lui stesso
Se Rocco Casalino avesse la bacchetta magica (e a volte è convinto di averla), accenderebbe un pc e farebbe sparire la sua biografia da Wikipedia, l’enciclopedia universale del web: «È piena di stupidaggini su di me». E poi, con un secondo abracadabra, l’uomo che sussurra a Giuseppe Conte lancerebbe in rete il curriculum scritto da sé stesso, dove l’autore non è più «quello del Grande Fratello», ma uno stimato ingegnere elettronico e giornalista professionista, capo ufficio stampa e portavoce del presidente del Consiglio. Al fortunato programma che lo vide resistere 92 giorni su 99 segregato nella Casa, sotto gli occhi morbosamente curiosi di mezz’Italia, Casalino deve la notorietà e l’indipendenza economica, eppure se tornasse indietro forse non si lascerebbe sedurre da quell’«esperimento psicologico e sociale» che gli cambiò la vita. «Non pensavo che mi avrebbe danneggiato a livello di immagine», racconta controvoglia, restio com’è a parlare del passato. «Non rinnego nulla, però mi è rimasta addosso come una macchia. Quando mi si vuole danneggiare, ecco che torna fuori in forma spregiativa. Mi pesa ancora, ad esempio mi ha impedito di fare il percorso da parlamentare».
I meet up e il video spedito a Grillo
Ci si vede seduto a uno scranno di deputato o senatore? «Non lo so, ma non lo escludo». Non è solo per cancellare “la macchia” del reality con Pietro Taricone, Marina La Rosa e Roberta Beta che Casalino non si stanca di rincorrere il successo. La «potentissima voglia di riscatto» che lo muove nasce negli anni dell’infanzia “difficile” in Germania, genitori pugliesi emigrati da Ceglie Messapica, papà operaio e mamma commessa. Rocco viene al mondo a Frankenthal il 1° luglio del 1972, cresce in Renania e a 15 anni torna in Italia, dove si diploma tecnico commerciale con 60/60 e si laurea in Ingegneria a Bologna. Einstein è il suo mito, la relatività il chiodo fisso. A vent’anni, racconta senza nostalgia, leggeva Gramsci, Marx e Pasolini, comprava poster di Che Guevara e votava Bertinotti: «Mi piaceva molto». Poi la sinistra lo ha deluso e si è ritrovato ai meet up del M5S, fino a diventare il padrone assoluto della comunicazione. E dire che era cominciato tutto con un video di autopromozione spedito a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: «Giudicatemi senza pregiudizi». Funzionò.
«Studiavo anche 12 ore al giorno»
Anno dopo anno, “Rocco” si conquista la stima dei fondatori del Movimento e, dopo liti e contestazioni anche aspre, il rispetto della politica e del mondo dell’informazione. Da bambino gioca a pallavolo e prova qualche mossa di karate, ma la gran parte del tempo la trascorre sui libri: «Ero molto diverso da ora, quasi un secchione, studiavo anche 12 ore al giorno. Sognavo di realizzarmi, di diventare un grande ingegnere». Si appassiona all’informatica e mostra di avere orecchio per le lingue, oltre al tedesco e all’italiano impara l’inglese, lo spagnolo e un po’ di francese. I professori, racconta, gli offrirono la possibilità di frequentare una «grande scuola», dove c’erano solo ragazzi tedeschi: «Gli studenti si stupivano che fossi bravo. Da allora ho dovuto sempre lottare per superare i pregiudizi, sono stato perseguitato tutta la vita da aggettivi spregiativi. Da ragazzino ero l’italiano, mi prendevano in giro, ero considerato inferiore. Poi sono diventato quello del Grande Fratello, l’omosessuale, l’uomo dei 5 Stelle».
Adesso la rivincita può dirsi compiuta, prova ne sia uno stipendio da 169.556,86 euro l’anno, che essendo più alto di quello del premier gli ha attirato invidie e polemiche. Si è seduto al tavolo coi grandi della Terra, da Merkel a Macron e si è fatto fotografare con Ivanka Trump al G20 di Osaka, ma non gli basta: «Mi capita di sentirmi addosso quello sguardo strano, mi si vuole sempre attribuire una certa leggerezza. Per questo sono in perenne lotta, ho sempre voglia di dare schiaffi morali a tutti». Il suo motto? «Se c’è da lottare, lotto». Anche ora che la sua stella nel M5S si è un pochino appannata, resta potente, temuto, e la modestia non è il suo forte. Si narra che, appena giunto a Palazzo Chigi, si fosse lamentato per la stanza, «un po’ piccolina» per contenere il suo ego. In compenso è dotato di sorprendente autoironia. Ama scherzare sulla sua omosessualità e nel 2018, per il giuramento al Quirinale, sfidò i benpensanti presentandosi al braccio del fidanzato cubano Marco, palestrato come lui.
L’arguzia del battutista e i giornalisti «amo’»
La sua fama di rude e antipatico spesso lo precede, eppure chi lo conosce bene gli riconosce l’arguzia del battutista e qualche raro sprazzo di dolcezza. I giornalisti che ritiene affidabili li chiama «amo’» agli altri infligge la cura del silenzio. Le cronache parlamentari lo descrivono come il Rasputin dei palazzi, sulfureo e ingombrante, egocentrico e narciso, talentuoso e funambolico. Amato quanto odiato, è furbo e talvolta incauto. Difficile cancellare la fake del master negli Usa («un’invenzione, che nel mio curriculum ufficiale infatti non c’è»), la gaffe sulle vittime di Genova («mi è saltato il Ferragosto»), l’audio rubato in cui minacciava di silurare i tecnici del ministero dell’Economia, o la videointervista del 2004, rispolverata per colpirlo, dove rivela profondo fastidio verso anziani e down. La polemica divampò furibonda, l’opposizione chiese le dimissioni e lui si difese, assicurando che era solo una provocazione, una recita per una scuola di giornalismo. Non bastò e dovette scusarsi in tv, nel salotto di Fabio Fazio.
Croce e delizia, i rapporti col piccolo schermo
Il piccolo schermo, da sempre, è per lui croce e delizia. Ha fatto una dura gavetta tra Betting Channel, Telenorba e Telelombardia, dal suo antico agente Lele Mora ha appreso i trucchi della tv e su quel terreno ha costruito il suo potere. Gli incidenti di percorso e l’aplomb istituzionale di Conte gli hanno insegnato l’autocontrollo, ma l’ossessione di controllare gli altri gli è rimasta. Se un titolo non gli garba, alza il telefono e chiama i giornali in piena notte. Il video in cui fustiga Enrico Mentana che tardava a divulgare un suo messaggio («veloce, Chicco!») e quello in cui sottrae il premier ai giornalisti, tirandolo per un braccio e creando un mezzo scandalo internazionale, sono virali su Internet. Era il giugno del 2018 e da quel G7 in Canada i rapporti di forza a Palazzo Chigi sono molto cambiati. Durante il governo gialloverde molti si chiedevano se avesse più potere Conte o il suo portavoce, che qualcuno si spinse a definire «il premier ombra».
Senza di lui, il premier non muove un passo
Ora i ruoli si sono riequilibrati, ma il premier non muove un passo senza Casalino, regista della sua agenda, dei blitz sul territorio e delle apparizioni Facebook. Sua la definizione di «avvocato degli italiani» e l’intuizione comunicativa con cui trasformò l’azzardo del 2,4% nel rapporto deficit/Pil in un più realistico 2,04%. Ed è stato anche grazie a lui se il docile giurista Conte ha trovato il coraggio ferragostano di sbeffeggiare Salvini in Senato, attribuendogli ogni nefandezza in diretta tv: «C’è il mio zampino, lo ammetto. Sentivo che sarebbe nato il Conte bis e ci ho scommesso, quando nessuno ci credeva», ricorda il portavoce, senza mascherare l’orgoglio per l’intelligenza politica che persino gli avversari gli riconoscono. «Ho sviluppato la sensibilità di prevedere dove va l’opinione pubblica e cosa succederà». Un po’ come gli accadde da “gieffino”, quando fiutò che il programma avrebbe vinto il Telegatto. E il governo, durerà? «Io me lo auguro. I fronti aperti sono tanti, ma Conte sull’Ilva ha dimostrato di essere un grandissimo e se superiamo questa fase difficile, ricreando un clima di squadra, sono convinto che possa farcela».
«Io Conte e Di Maio», amici e nemici nei 5 Stelle
E se molti analisti pensano che la leadership del premier sia ormai troppo indebolita, Casalino fa scongiuri e rilancia con una delle sue lodi iperboliche: «Ha tutte le caratteristiche per essere un gigante». La crisi di consenso dei 5 Stelle lo fa soffrire e talvolta si ritrova a pensare come andrebbe il Movimento se al fianco del capo politico, a suggerire ogni mossa e a parare gli attacchi dei nemici interni, ci fosse ancora lui: «Nel 32% del 2018 c’era tanto di mio. Luigi? Abbiamo un rapporto molto buono, ma prima il confronto era quotidiano, adesso capita molto meno... Diciamo una volta a settimana». Se nel M5S c’è chi vive con sollievo il suo ritiro nelle stanze color oro di Palazzo Chigi, tanti invece lo rimpiangono. «Mi dicono che la mia mancanza si sente», sospira. «Vedo i sondaggi sempre peggiori e la vivo proprio male. All’inizio ho provato a seguire sia Conte che Di Maio, poi ho capito che era impossibile...».