ItaliaOggi, 29 novembre 2019
Una fondazione ripropone la creatività italiana degli anni 30 e 40 per lungo tempo censurata
Collezionista ma non egoista. L’arte resa disponibile al pubblico. Negli Stati Uniti tanti collezionisti legano il loro nome a musei e istituzioni che attraggono migliaia di visitatori. Nel nostro Paese è meno usuale, anche perché il sistema fiscale è meno favorevole. Sono quindi dei pionieri, Massimo e Sonia Cirulli, grandi collezionisti del periodo futurista che hanno creato una fondazione e acquistato una sede nell’hinterland bolognese (disegnata negli anni ’60 dagli architetti e designer milanesi Achille e Pier Giacomo Castiglioni) dove hanno realizzato un museo che ospita mostre temporanee rigorosamente di opere dal 1900 al 1970, per lo più provenienti dalla propria collezione.L’ultima rassegna (fino al 17 maggio) si intitola l’Archivio animato, 200 quadri, manifesti e oggetti firmati Gio Ponti, Ettore Sottsass, Lucio Fontana, Enrico Prampolini, Bice Lazzari, Bruno Munari, Depero. Dice Sonia Cirulli: «Cerchiamo di valorizzare l’arte e la cultura visiva italiana del XX secolo, dalla nascita della modernità fino agli anni del boom economico. Puntiamo a ricostruire lo spirito della prima parte del XX secolo con la sua grande creatività italiana finora più conosciuta all’estero che in patria».
Ma in mostra vi è anche un grande pannello decorativo di Xanti Schawinsky, tra i fondatori del Bauhaus, la corrente tedesca fondamentale nella storia dell’architettura. Schawinsky nel 1933 lasciò la Germania in seguito alle leggi razziali e arrivò in Italia dove, tra l’altro, allestì il negozio Olivetti a Torino.
Dopo due anni si trasferì negli Stati Uniti. «Non è un caso – afferma Jeffrey Schapp, docente ad Harvard (Usa), studioso del Novecento e presidente del comitato scientifico della fondazione – che proponiamo quadri accanto a tessuti, foto vicino ad oggetti di design e ai manifesti. Ci siamo allontanati dai format espositivi museali troppo rigidi per avventurarci nella molteplicità, simultaneità e agilità dei valori futuristi».
Massimo Cirulli ha fatto fortuna a New York con la finanza e nei primi anni ’80 si mise a collezionare il futurismo, più apprezzato all’estero che in Italia. Da qualche anno è tornato in patria, portandosi dietro la più importante (200mila pezzi) collezione privata del periodo 1909-1939. Ricorda: «Furono i miei amici banchieri newyorchesi ad aprirmi gli occhi per primi sul valore dell’arte italiana del Novecento. Mi colpì il fatto che molti uomini d’affari ebrei collezionavano opere del Ventennio. E compresi che quegli anni, cancellati in Italia per una sorta di censura politica, furono invece fecondissimi sotto il profilo della creatività».