la Repubblica, 29 novembre 2019
Quarant’anni fa il mondiale di boxe di Antuofermo
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«Mi hanno messo settanta punti di sutura in faccia, avevo tagli dappertutto ma il titolo è rimasto mio». Il 30 novembre 1979 Vito Antuofermo difende la corona dei pesi medi contro Marvin Hagler in uno dei match più drammatici della storia della boxe. Antuofermo è un paisà. Nato a Palo del Colle, provincia di Bari, emigrato negli Usa a 15 anni, nel 1968. Baffoni folti che evocano la fierezza di un’Italia contadina, sguardo profondo che si fa largo tra arcate sopraccigliari che sembrano un salice piangente, pericolosamente ingombranti per un pugile: «Ferite quasi a ogni match. All’inizio della carriera ci mettevo lo smalto che le donne usano per le unghie e la pelle teneva un po’ di più. Ma poi non me lo hanno più permesso...», ci racconta da New York, dove vive.
La boxe nel dna senza saperlo, basta una scintilla: «Cerco di socializzare anche se ancora non so la lingua. E uno comincia a rompermi le palle...». Rissa, l’intervento della polizia. «Un agente mi porta in uno scantinato dove c’è un ring. Mi fa combattere contro uno che sapeva fare la boxe. Prendo un sacco di botte ma il giorno dopo sono di nuovo lì». Vito poi i pugni comincia a darli: vince il Golden Gloves tra i dilettanti, poi diventa professionista per caso: «Vado a vedere una riunione nel Queens. Uno non si presenta e mi propongono di sostituirlo. 300 dollari, avevo bisogno di soldi. Accetto e vinco». C’è però la fregatura: «Non mi rendo conto che non sono più dilettante, quindi addio Olimpiade di Monaco del ’72». Ormai il dado è tratto. Arrivano le vittorie, anche di lusso, come con Emile Griffith, l’Italia (con l’organizzatore Rodolfo Sabatini) si accorge di lui, e lui ripaga con il titolo europeo, conquistato con il tedesco Dagge, e soprattutto con il Mondiale. A Montecarlo batte Hugo Corro, quello che gli argentini si illudono possa essere l’erede di Carlos Monzon. Nella stessa serata combatte anche Hagler, che distrugge Cabrera e viene designato sfidante ufficiale al titolo.
Si arriva al match di Las Vegas: il posto più lontano dal ring costa 50 dollari, quello in cui vedi bene al punto di beccarti schizzi di sangue e sudore, 250. Al Caesars Palace, sede della sfida, c’è un gran traffico. Pacchiane riproduzioni dell’antica Roma, gente che vince o si rovina al gioco, star di Hollywood: Robert Redford ci ha appena girato scene de Il cavaliere elettrico. Molti sono lì per il predestinato, Ray Sugar Leonard, che si appresta a conquistare il suo primo titolo mondiale contro un altro fuoriclasse, Wilfred Benitez. Ma prima ci sono loro...
«Schiaccerò Antuofermo come un moscerino». Hagler, per tutti “Il Meraviglioso”, è sicuro e strafottente alla vigilia. Vito invece ha altro cui pensare: «Mi prendo una bronchite, ho dolori dappertutto. Il dottore della commissione medica del Nevada non vuole neanche darmi il permesso per combattere. Ma tengo duro e su quel ring ci salgo. Non lo avessi fatto, qualcuno avrebbe pensato che avevo avuto paura». Hagler ha classe, i suoi pugni sembrano lame. Per sei dei quindici round (tanti ne prevedeva all’epoca un Mondiale) impone la sua classe immensa. «Mi sentivo bloccato, poi ho cominciato a sudare, a sciogliermi, e la musica è cambiata, ho finito il match molto meglio di lui». Quasi ogni colpo del Meraviglioso provoca un taglio, ma l’italiano è un inno al coraggio. I giudici danno il pari, significa che il titolo resta al campione. «L’ho difeso col sangue», le prime parole a fine match.
Antuofermo quel titolo poi lo perderà e, uscito dalla boxe, prima della pensione farà altro. La gestione di una pizzeria, un lavoro al porto, il cinema: «Ho fatto varie cose, tra cui una parte ne Il Padrino parte III (guardia del corpo di un corleonese, ndr). Mi scelse Al Pacino. Quando girammo a Roma, a Cinecittà, la sera andavamo a cena insieme. È rimasta una bella amicizia e spesso ci sentiamo, più che altro per telefono perché lui vive a Los Angeles». Non poteva essere altrimenti, per una vita che sembra un film.