la Repubblica, 29 novembre 2019
Soldi ai partiti, ripensiamoci
Finalmente si sentono voci critiche, e autocritiche come quella del sindaco di Firenze Dario Nardella, sulla decisione di abolire il finanziamento pubblico ai partiti.
Con furia savonarolesca, incalzati dal populismo grillino e dagli scandali di inizio decennio che quasi affossarono la Lega di Umberto Bossi, nel 2014 venne azzerato il finanziamento statale; piccola compensazione, l’introduzione del contributo volontario del 2 per mille. I bilanci dei partiti si sono quindi ridotti drasticamente. Forza Italia sopravvive grazie alle fideiussioni personali di Silvio Berlusconi mentre gli altri, con tagli e risparmi, si reggono, a stento, con le quote degli iscritti, le donazioni provate e, appunto, il 2 per mille.
Proprio quest’ultima voce è interessante perché evidenzia la diversa capacità dei partiti di convincere i cittadini a versare un contributo. In questo il Pd primeggia: ha sempre raccolto la maggior parte dei versamenti e, nel 2018, con 7 milioni di euro, ha totalizzato quasi la metà dell’ammontare complessivo. Staccata la Lega, che nelle sue due incarnazione ufficiali, la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania (nome che rimane nonostante la discesa al Sud e il “prima gli italiani") e la Lega per Salvini premier, arriva a 3 milioni, con un notevole incremento rispetto all’anno precedente. Agli altri vanno gli spiccioli.
I 5stelle sono un caso a parte. Non beneficiano del 2 per mille perché hanno rifiutato di iscriversi nel registro dei partiti (introdotto nel 2014), e in tal modo non sono obbligati a consegnare i bilanci all’organo preposto al controllo. La giustificazione – ridicola – è che non sono un partito. Ma c’è di peggio. Infatti, se si guardano i bilanci della galassia 5stelle – un firmamento di sigle – si scopre che la parte del leone dei versamenti privati va all’Associazione Rousseau, e proviene sia da tanti piccoli contributi che dai più sostanziosi bonifici dei parlamentari. Non solo. Nel 2015 e nel 2106 il Movimento sembra abbia vissuto d’aria: le entrate complessive di tutti i suoi soggetti ammontano, rispettivamente, a 2.465 e 1.055 euro. Diciamo pure che ci vuole una bella faccia tosta per dichiarare cifre simili: perché la politica, come ogni altra attività, costa. Ed è naturale che sia così. Semmai il problema sta nell’avidità dei partiti che, nel corso dei vent’anni tra il referendum del 1993 che aveva abrogato parte del finanziamento pubblico e la legge del 2014 che lo ha eliminato, hanno ricevuto somme esorbitanti, spendendole senza ritengo né controlli. Per cui, un bel lavacro di sobrietà non può che far bene. Ma con giudizio, altrimenti i partiti rischiano di ricorrere in maniera disinvolta al sostegno, mai disinteressato, dei gruppi di interesse. Una ricerca internazionale ha rivelato che a fianco di una diffusa ostilità ai contributi statali ai partiti, vi era anche il timore che venissero condizionati dai grandi donatori. Un rischio che diventa ancora più forte quando i leader danno vita a fondazioni politiche.
Attualmente se ne contano a decine: alcune ben strutturate e con una intensa attività politico-culturale, altre scatole vuote attivate occasionalmente a sostengo dei fondatori. Il faro acceso su Open mette in luce quanto esse possano essere strumentali; basti pensare che lo statuto della fondazione indica come finalità, “supporta(re) le attività e le iniziative di Matteo Renzi, fornendo il suo contributo finanziario, organizzativo e di idee alle attività di rinnovamento della politica italiana, in particolare quelle articolate intorno alla figura di Renzi”. Evidentemente fondazioni così personalizzate non offrono molto al dibattito politico-culturale e rischiano di diventare semplici collettori di finanziamento: con il paradosso che alla sobrietà forzata dei partiti si contrappone la disponibilità di mezzi di queste strutture “privatiste”.
La strada maestra per ridurre questi rischi è una sola: ripristinare il finanziamento ai partiti a fronte di spese dichiarate, e sottoporli a controlli stringenti. Sarebbe uno stop al populismo e un ritorno alla ragionevolezza.